Archivio mensile:febbraio 2020

Il “di dietro” degli arranger workstation

La parte posteriore di una tastiera digitale è quella di cui il tastierista non si cura quando suona dal vivo, ma è quella che vede il pubblico. È un dettaglio non è del tutto trascurabile. Tuttavia, ancora più importante è che quello è lo spazio dedicato alle connessioni. Non ha quindi un valore esclusivamente estetico. E oggi ho pensato di dedicare un articolo a questo argomento, confrontando il “di dietro” degli arranger workstation oggi a listino nelle categorie ammiraglie e livello medio.

Trattasi di nove modelli prodotti da Korg, Yamaha e Ketron e, per i quali abbiamo pubblicato una rassegna in un paio di occasioni: arranger di lusso e mid-level.

Osserviamo questi arranger da vicino mentre, al fondo dell’articolo, una tabella sinottica ci permette di confrontare i dati tecnici delle connessioni disponibili.

Yamaha Genos

La sponda posteriore di Genos spicca per le forme sinuose ed eleganti. Dal punto di vista delle connessioni, l’elenco è sovrabbondante. Spiccano rispetto la concorrenza, la presenza di una doppia coppia di MIDI IN e MIDI OUT, ben tre coppie di uscite stereo, gli speaker digitali per gli amplificatori esterni GNS-MS01. Infine, Genos è l’unica della serie ad offrire un’uscita digitale.

Il design di Yamaha Genos

Korg Pa4X

Anche l’ammiraglia di casa Korg riserva connessioni dedicate per un’amplificatore proprietario, PaAS. Come tutte le ammiraglie, dispone di ingresso microfonico compatibile per jack 1’4″ standard e XLR con alimentazione Phantom (per i microfoni a condensatore). Pa4X è l’unico della serie ad avere un ingresso AUX IN stereo, in aggiunta alla coppia Right-Left. Le forme squadrate sono alleggerite dal taglio di colore della scocca.

Korg Pa4X

Ketron SD9, SD60 e SD90

I tre modelli di Ketron si distinguono per il doppio ingresso MIDI IN: la ragione dipende dal fatto che questi arranger hanno un duplice motore sonoro (proprietario e GM) e ognuno di essi ha un ingresso MIDI dedicato. Gli arranger Ketron potrebbero attirare l’attenzione dei musicisti grazie alla porta MIDI THRU, scomparsa su tutti gli altri arranger qui in rassegna. Altre connessioni originali sono l’ingresso multipolare per l’unità a pedale footswitch e l’uscita video DVI. Gli ingressi AUX IN e AUX OUT sono monofonici.

Ketron SD90, unico modulo arranger di questa rassegna

Korg Pa1000 e Pa700

Scendiamo di categoria con le due coppie di fratelli Korg e Yamaha: lo si nota dal diradarsi di connessioni disponibili che restano comunque, ad onor del vero, sufficienti per un utilizzo professionale. Pa1000 e PA700 si distinguono per la condivisione dell’ingresso AUX IN (Right-Left) utile per collegare un microfono dinamico o una chitarra. Le nuove serie di questi modelli hanno adottato la porta HDMI, diventato lo standard de facto per i monitor video.

Il retro di Korg Pa700 (analogo a quello di Pa1000)

Yamaha PSR-SX900 e PSR-SX700

I due fratelli di casa Yamaha non sono perfettamente identici: il fratello maggiore PSR-SX900 vanta due uscite sub-stereo, la possibilità di collegare un adattatore USB per inviare il segnale video ad un monitor esterno e la connessione Bluetooth per ricevere il segnale audio da uno smartphone o tablet. Entrambi però meritano una menzione per la loro eleganza delle forme.

Il retro elegante di PSR-SX900 (analogo a quello di PSR-SX700)

Conclusioni

Nella scelta di una tastiera nuova da acquistare, succede talvolta di sorvolare sulle connessioni disponibili: onde evitare sorprese inaspettate, vi propongo una tabella riepilogativa. Osservate gli aspetti analoghi e quelli distintivi di ogni modello: spero che queste informazioni possano aiutare tutti a fare chiarezza sulle caratteristiche di ciascuno strumento.

Fate clic sull’immagine per ingrandirla

Korg rilascia software 1.5 per Pa700 e Pa1000

La versione 1.5 del sistema operativo dei Professional Arranger Pa700 e Pa1000 non passerà alla storia come uno degli aggiornamenti più sconvolgenti della storia delle tastiere con accompagnamenti.

Dovrà aspettare chi si aspettava che Korg Italy avrebbe messo mano a questi prodotti per condividere le migliorie introdotte recentemente nell’ammiraglia Pa4X con Next V3. Come, ad esempio, la nuova interfaccia grafica Dark Glimmering, oppure il nuovo algoritmo di compressione dei campioni che offre maggiore spazio agli User Sample, la ridefinizione dei suoni di organo Hammond, la nuova finestra di dialogo della registrazione e così via.

Niente di tutto questo. Chissà, forse vedremo questi aggiornamenti in tempi successivi. Per l’intanto la numerazione dei sistemi operativi Korg torna ad allinearsi per Pa700 e Pa1000 .

Korg Pa700

Ecco le attuali novità, quelle annunciate lo scorso 14 febbraio, in estrema sintesi.

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Per i soli strumenti di nuova serie con porta HDMI, la pagina di impostazione del Video Out è stata arricchita della funzione opzionale di sincronizzazione (Sync). Questa possibilità potrebbe tornare utile nei casi in cui lo strumento non riesca a sincronizzarsi automaticamente con i monitor esterni: si potrà così procedere manualmente.

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La seconda novità riguarda la risoluzione di un guasto software che si presentava con l’uso di MIDI file di grandi dimensioni all’interno di una lista Jukebox. Non si correrà più il rischio di interruzione del playback.

3

Korg non si sbottona nei dettagli, ma – nella nota di rilascio della versione 1.5 – annuncia una serie di “miglioramenti generali delle prestazioni”. Chissà.

Conclusioni

Collegamenti:

Concludo segnalandovi la bravura di Athanasios Mouskeftaras: dalla Grecia, ci arriva una sentita interpretazione di Fragile di Sting, suonata su Korg Pa700.

Speciale “Pianoforti con arranger”, edizione 2020

Nel 2017 avevo partecipato alla redazione dello Speciale pianoforti digitali di Audiofader insieme a Riccardo Gerbi. In particolare, io mi ero occupato delle pagine dedicate ai pianoforti digitali dotati di sezione arranger.

Nei giorni scorsi, abbiamo pensato che era giunto davvero il momento di aggiornare le informazioni contenute in quello speciale.

E così, lunedì scorso Riccardo ha pubblicato l’aggiornamento sui pianoforti home. Oggi è il mio turno con i pianoforti arranger.

È tutto disponibile in linea sul sito di SM Strumenti Musicali: sono convinto che numerosi lettori di questo blog potranno essere interessati.

Che dire di più… Buona lettura!

Suonare il pianoforte con stile

Misuriamo Yamaha PSR-SX700 (accanto a PSR-SX900)

Da vent’anni, da quando cioè Yamaha ha intrapreso l’evoluzione ricorrente della serie PSR, abbiamo assistito all’uscita regolare – ogni due-tre anni – di due modelli abbinati: uno completo e uno ridimensionato. Nelle prime coppie di modelli, la distanza fra i due arranger era notevole e il “fratello” minore si presentava spesso al mercato come una classica scelta di ripiego, a causa dei tagli operati. Ma il progressivo rilascio di caratteristiche hardware e software di rilievo verso modelli più economici ha avuto conseguenze anche su questa scelta strategica: negli ultimi dieci anni, il modello minore della coppia si è presentato con credenziali notevoli e, grazie al mantenimento di un prezzo più aggressivo, si è fatto spazio fra quei clienti che cercano risoluti il bilanciamento qualità-prezzo.

Oggi, affrontiamo questo esercizio con i nuovi arranger Yamaha del momento: PSR-SX900 e PSR-SX700. Il primo si trova in vendita poco sotto i 1800 Euro, il secondo si sta assestando sui 990 Euro. La differenza di prezzo è considerevole ma, prima di vedere insieme il perché, vorrei puntualizzare i punti di forza di PSR-SX700. Non è uno strumento che vive all’ombra del modello superiore e ha tutte le carte in regola per destare l’attenzione di molti appassionati di arranger.

Yamaha PSR-SX700 dal tono elegante

Valori assoluti, a prescindere dal confronto

Nel mio recente test di PSR-SX900, pubblicato su SM Strumenti Musicali, ho scritto tutto quello che avevo potuto sperimentare su questa opera di tecnologia applicata alla musica. Vi consiglio la lettura: vedrete le tante caratteristiche di pregio insite in PSR-SX900: molte di queste le ritroverete intatte anche su PSR-SX700: fra tutte, vi segnalo in primis la presenza dei tasti FSB. Infatti, in questa gamma di prezzo, normalmente la qualità dei tasti montati dai costruttori è molto leggera; qui invece Yamaha merita un applauso avendo introdotto i tasti FSB che erano stati per anni una presenza apprezzata nella serie Tyros. Passando al resto, in estrema sintesi, PSR-SX700 ha conservato del modello superiore lo schermo a colori touch screen con l’usabilità pari a quella dell’ammiraglia Genos, lo stesso generatore AWM, le quattro parti di tastiera, lo Style Creator e il registratore MIDI/audio rinnovati, il registratore MP3, il joystick, le funzioni di assegnazione, la Playlist, lo Style Section Reset… (le specifiche tecniche complete sono qui). Che ve ne pare?

C’è anche un punto a favore di PSR-SX700 rispetto il modello superiore: i consumi energetici inferiori (21W) pesano di meno sui conti della bolletta.

Detto questo, vediamo ora il dettaglio dei tagli operati. Spuntateli e chiedetevi se potete farne a meno.

Assenze significative

  • PSR-SX700 ha 5 effetti Insert invece di 8: poco male, direte voi. Ma all’appello mancano gli effetti VCM (sono 13 in tutto, fra cui varianti di Flanger, Phaser ed Auto Wah, oltre ad un compressore “analog”); su questo strumento si dovrà fare ricorso agli altri effetti standard. Sono sempre risorse di qualità ma manca quel tono vintage che la tecnologia VCM consente.
  • La wavetable è sostanzialmente condivisa ma il numero di suoni disponibili diminuisce: 986 voci (contro 1337) e 41 drum kit (contro 56). La ridotta varietà timbrica è diffusa equamente fra tutte le famiglie di strumenti.
  • Gli stili di fabbrica sono 433 contro 525. Si potrà compensare riutilizzando stili di modelli Yamaha precedenti oppure acquistandone di nuovi. O personalizzando gli stili esistenti facendo ricorso al migliorato Style Assembly.
  • 226 sono i banchi di Multipad (contro 329).
  • Chord Looper: qui non c’è la gestione automatica della progressione di accordi che per Yamaha è una novità introdotta appositamente su PSR-SX900.
  • No Vocal Harmony (VH2) e no vocoder. Qui non c’è storia: se siete abituati a cantare e a utilizzare l’armonizzatore interno e i suoi effetti, non avete alternativa.
  • Nessuna uscita video. A dire il vero, se non fate karaoke dal vivo, nemmeno vi serve.
  • Gli spettacolari speaker di PSR-SX900 qui non ci sono e sono sostituiti da una coppia di diffusori a 15W ciascuno. Il modello superiore dispone di diaframma in polipropilene disposto in una nuova struttura: occorre usare le proprie orecchie per capire la differenza. Se fosse questo il solo punto di rammarico, si potrebbe optare per l’acquisto a parte di un subwoofer compatto come KS-SW100. Ma chi ascolta in cuffia oppure utilizza un PA esterno, non è nemmeno sfiorato da questa riduzione.
Yamaha PSR-SX700

Assenze marginali

Proseguo con le recisioni, separandole dall’elenco principale, perché queste sono marginali, ovviamente in modo del tutto soggettivo.

  • Lo spazio di memoria per l’aggiunta dei pacchetti di espansione vale 400MB (contro 1GB). Significa semplicemente minore comodità nel caricamento degli eventuali Expansion Pack che vorrete installare.
  • La sezione arranger è incompatibile con gli stili audio. Considero questo taglio fra quelli marginali perché Yamaha non sta spingendo seriamente sulle tracce audio fra gli stili e, quindi, il repertorio di accompagnamenti basati sul MIDI continua ad essere trainante in questo eco-sistema.
  • Sul retro ci sono le due uscite audio stereo di alta qualità, ma mancano le uscite stereo addizionali di SUB OUTPUT, che possono essere usate per adattare il suono a varie situazioni dal vivo: ad esempio, convogliando i bassi attraverso un subwoofer separato per un risultato più pieno e potente, oppure inviando strumenti a percussione a una console esterna per dare forma al proprio suono.

Assenze del tutto trascurabili

Infine, per completezza di informazione, ecco gli ultimi tagli che – a mio modesto avviso – sono del tutto trascurabili:

  • Il Bluetooth non è disponibile: per ascoltare dalle casse il segnale audio da un dispositivo esterno (smartphone, tablet…) si dovrà fare ricorso ad un cavo con connettore mini-jack, come quello delle cuffie, da collegare alla porta AUX-IN.
  • Lo spazio di memoria per i dati utente è di 1GB (contro 4GB). Si potrà agevolmente sopperire con una memoria USB sempre inserita. Le più economiche oggi hanno ben più di 4GB.
  • C’è una sola porta USB-to-Device (contro due). È un limite insignificante, dato che si può collegare comunque un hub USB per accedere fino a quattro dispositivi flash USB.

Conclusioni

Va da sé che i tastieristi che suonano esclusivamente fra le proprie mura di casa potrebbero risentire di meno del rammarico provocato da tali ridimensionamenti. Chi fosse in procinto di acquistare un arranger e fosse in dubbio nella scelta dovrebbe semplicemente chiedersi se qualcuna delle caratteristiche tagliate sia essenziale e irrinunciabile. Per tutti gli altri, PSR-SX700 è un buono strumento, ben equilibrato, e vi permette di risparmiare 900 Euro (in taluni casi anche di più) per ottenere un arranger workstation Yamaha con cui suonare, registrare, esercitarsi e divertirsi.

Dulcis in fundo, vale sempre la stessa regola: recatevi in un negozio di strumenti musicali e provate di persona qualsiasi strumento, prima dell’acquisto. Chi trascura questa regola avrà sempre un motivo di rimpianto per non averlo fatto (credetemi, so di cosa stato parlando).

Roland GO:KEYS, la rossa trasportabile

A seguito del discreto interesse suscitato da Roland GO:KEYS presso i lettori di questo blog, oggi sono qui per riprendere i miei appunti a seguito dell’uso dello strumento per alcune settimane. In questa sede, escluderò la valutazione tecnica della sezione arranger (chiamata Loop Mix) avendole già dedicato un approfondimento tecnico in passato. Oggi vediamo tutto il resto.

Pesi e misure da record

Dal punto di vista hardware, GO:KEYS spicca per la sua leggerezza e portabilità. Poco meno di 4 kg e dimensioni ultra-compatte (87,7cm per 27,1 cm) consentono effettivamente di portarla dappertutto. Il design elegante e slanciato è privo di parti sporgenti. Non vi nascondo che un giorno ho provato la forte tentazione di metterla in auto all’ultimo minuto e, grazie alla presenza delle batterie, portarla con me in montagna in una gita invernale.

A fronte di pesi e misure così contenuti, sorprende la discreta qualità dei 61 tasti dinamici. Sono leggeri, ma le dimensioni sono regolari e la risposta al tocco non sfigura davanti a tastiere digitali che costano il doppio o anche il triplo. Mi piace il disegno spigoloso (Box Shaped) dei tasti sia bianchi sia neri e mi sono trovato bene anche con i materiali di superfice ( Ivory Feel), leggermente ruvido da consentire un buon controllo mentre si suona.

Ci sono gli inserti per posizionare un leggio, ma io non l’ho trovato nella confezione e non viene nemmeno citato fra gli accessori disponibili. Come dire che Roland non considera come potenziali clienti i musicisti che leggono lo spartito.

Pannello senza pulsanti

Lo strumento è incredibilmente veloce nell’accendersi: in una manciata di secondi siete già operativi.

Il colore rosso permette a GO:KEYS di spiccare fra le vostre mani, soprattutto se suonate all’aperto, attirando inevitabilmente l’attenzione del pubblico. Il display LCD Custom è lillipuziano: questo è quello che passa il convento. Non ci sono cursori o pulsanti fisici e tutti i controlli sono affidati a tasti attivabili a sfioramento. Come nel caso del Performande Pad composto da due serie di cinque tasti che possono sfiorati da sinistra verso destra e viceversa per ottenere diversi controlli come gli effetti di filtro e quelli di rullo.

Suonare ascoltando

Assolutamente da dimenticare sono gli speaker di bordo. Su questo punto Roland ha fatto davvero troppa economia. La buona fattura dei suoni di fabbrica viene letteralmente oscurata dagli speaker di serie da 2.5W. Onestamente io mi sono rifiutato di usarli e ho sempre suonato ascoltando in cuffia: è tutta un’altra musica e si percepisce la qualità sonora a livello di Roland JUNO-DS.

L’ingresso cuffia è il mini-jack da 3’5″. Vincente, semplice ed immediata è la connessione Bluetooth: si possono ascoltare i brani originali dal lettore audio (tablet/smartphone) e suonarci sopra per esercitarsi o anche solo divertirsi. A differenza di altre tastiere musicali similari che possono mettere in playback dallo smartphone solo brani da iTunes, qui va bene un qualsiasi lettore: se la vostra musica è su Deezer, Spotify, Amazon Music, iTunes o anche sul web (SoundCloud, YouTube) va bene tutto. Basta la connessione Bluetooth e il divertimento è assicurato.

Qualora il brano originale sia in una tonalità difficile da suonare, è sufficiente agire sul Tranpose di GO:KEYS per poter suonare in una scala a voi più consona pur rimanendo allineati nello stesso tono del brano in ascolto.

Altre informazioni

Molte informazioni sono reperibili dalla lettura della scheda tecnica ufficiale, superfluo che ve la ripeti io qua. Piuttosto preferisco sottolineare alcuni aspetti che mi hanno colpito.

Non sottovaluterei il fatto che la connessione Bluetooth può anche essere utilizzata per scambiare dati MIDI con un altro strumento o una DAW.

La registrazione in formato MIDI/AUDIO consente di reincidere le singole tracce, ogni traccia viene assegnata ad una famiglia di strumenti (pianoforti, organi, fiati e così via). E’ possibile registrare anche le parti automatiche suonate dal Loop Mix.

Sul retro del pannello il numero di connessioni è essenziale: oltre all’uscita della cuffia di cui sopra, è presente l’ingresso AUX-IN sempre da mini-jack, l’ingresso del pedale e una porta mini-USB per il collegamento con il computer. Quest’ultimo si rende necessario per l’aggiornamento del software e per scambiare song con lo strumento.

Conclusioni

Come ho già scritto nella mia disanima su Loop Mix, con questo strumento Roland ha presentato alcune buone idee in termini di portabilità e semplicità d’uso. Ma tutto sembra ancora abbozzatto e siamo curiosi di vedere su come evolverà nel caso di modelli futuri facendo ricorso a materiali più robusti ed estendendo il patrimonio di suoni, stili di accompagnamento e funzioni di personalizzazione.


Siamo musicisti o consumatori di prodotti digitali?

La rivoluzione digitale ha trasformato il rapporto uomo-strumento musicale.

Concetti come “lunga durata” e “originalità” dello strumento sono stati annichiliti dal continuo rinnovamento tecnologico e dal prezzo decrescente: due fenomeni che hanno reso dura la vita di chi cerca l’approfondimento e la padronanza di uno strumento. Cosa quanto mai più vera per gli strumenti a tastiera, sui quali si dovrebbe comunque – prima di alzare bandiera bianca – tentare di pensare almeno in termini di “protezione dell’investimento”.

A differenza di quanto possa succedere con uno strumento acustico, quando si ha a che fare con uno strumento digitale, dopo qualche tempo è inevitabile sentirsi intrappolati dagli stessi suoni digitali, che rischiano di invecchiare precocemente al nostro udito. Ecco quindi che il desiderio di cambiare strumento è stimolato dalla necessità di espandere il proprio arsenale di suoni e di aggiornarlo con risorse più fresche.

Dopo un certo numero di anni, uno strumento digitale soffre di inevitabile obselescenza (dimensioni della memoria RAM, processori, porte di connessioni standard, display…). E se, qualche anno fa, si è trovato un modo per riportare alla luce gli strumenti dotati di floppy-disk, sostituendo il drive con un modulo USB, tuttavia rimane vero il problema generale di crescente difficoltà nel trovare le parti di ricambio.

E poi i nuovi strumenti che sopraggiungono sul mercato non offrono soltanto un maggiore numero di suoni: permettono di disporre di campioni più autentici e naturali. Questo aspetto permetterebbe (sulla carta) di essere più efficaci nelle proprie esibizioni, almeno fino a quando non esce il modello successivo con nuovi suoni e la storia si ripete.

In modo contraddittorio, è poi vero anche il contrario: il prodotto acquistato poco tempo addietro, è stato costruito al risparmio sui componenti, ed ha quindi perso smalto in un lampo: i tasti sono ballerini, i pulsanti sul pannello non rispondono più bene, i cursori sono inchiodati, il sequencer non parte più e tutto sa di instabilità. E ce ne dobbiamo liberare.

Non trascuriamo l’aspetto economico: cosa faccio del prodotto digitale attuale? Molti tentano di farselo ritirare dal venditore o di piazzarlo sul mercatino dell’usato. E anche qui bisogna stare attenti: la svalutazione è dietro l’angolo e qualora si aspetti troppo – anche per strumenti di pregio – si potrebbe incappare nell’amara sorpresa e scoprire che il nostro modello ha un valore monetario deludente rispetto il costo originale. Siamo vittime di un loop da cui è difficile uscire. Tutto ci dice che non conviene aspettare troppo.

Essere musicisti oggi significa essere consumatori di prodotti digitali. Dovremmo non sottovalutare troppo questo dettaglio e le sue conseguenze inevitabili sulla nostra capacità musicale.

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Ho scritto stasera in condizioni fragili, sono stanco dappertutto e quando sono così, faccio poi fatica ad esprimere concetti, anche quelli più semplici. Meglio fermarsi qui. Salvo questo articolo, lo pubblico nella speranza di poter stimolare una presa d’atto e di coscienza del proprio status di “consumatore”. E vi auguro buonanotte.