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Arranger Legacy | GEM Genesys

Nell’ambito della rubrica Arranger Legacy, abbiamo sinora affrontato sette magnifici strumenti del passato, grazie alla collaborazione con Riccardo Gerbi, Giorgio Marinangeli e Marcello Colò. Oggi siamo qui raccontarvi l’esperienza di GEM Genesys nella storia delle tastiere con accompagnamenti. Vi consiglio un passaggio su SM Strumenti Musicali e sul blog di Giorgio Marinangeli per completare le diverse letture, mentre al fondo di quest’articolo trovate il video dimostrativo di Marcello Colò. Partiamo!

Copertina della brochure di GEM Genesys

A metà degli anni 2000

La prima volta che ho affrontato a fondo l’argomento GEM Genesys risale al DISMA di Rimini a metà degli anni duemila. Per chi non lo sapesse, il DISMA è stato per anni l’appuntamento più importante in Italia per il mercato degli strumenti musicali. Ed è stata quella fiera l’occasione in cui ho conosciuto di persona Luca Pilla, l’attuale direttore di Audio Fader e SM Strumenti Musicali, web magazine che ospitano – di tanto in tanto – i miei piccoli contributi alla diffusione della conoscenza delle tastiere arranger. Torniamo a noi: quel giorno, dopo una lunga e avvincente chiacchierata sull’evoluzione in corso delle tastiere digitali, ci siamo recati allo stand Generalmusic dove Luca mi ha presentato Raffaele Mirabella (ai tempi dimostratore dei prodotti GEM ed oggi Product Specialist del settore tastiere in Algam Eko, vale a dire distributore nazionale di prodotti Korg, Studiologic, Nord); ed è così che tutti e tre abbiamo affrontato insieme l’argomento in questione. Ricordo che quell’incontro è stato illuminante nel farmi comprendere come parlare di Genesys significasse di fatto argomentare su WK4 o meglio WK8. La serie WK era infatti nata nel 1994 e aveva conquistato la piazza grazie alle dotazioni innovative per i tempi, fra cui l’Hard Disk, l’armonizzatore vocale e la possibilità di aggiornare il sistema operativo tramite floppy disk. Quando i modelli WK avevano già dato tutto, l’azienda romagnola ha pensato di riutilizzare processore, architettura, sistema operativo e risorse musicali per nuovi modelli di strumenti: nascevano così prodotti destinati a chi suonava sul palco (modelli SK a 76 o 88 tasti, senza amplificazione di bordo), a chi bramava i pianoforti digitali (modelli PS) e ai producer con l’introduzione di Genesys nel 2002: lo slogan commerciale recitava come quello fosse il primo strumento in assoluto capace di consentire la creazione in casa di un CD audio partendo da zero. Si poteva infatti registrare in multitraccia MIDI, prendendo le mosse dagli stili dell’arranger o suonando con le proprie mani; e si poteva realizzare un brano musicale completo, aggiungendo persino la linea vocale (Vocal Genius) per il livellamento del mix finale e masterizzare tutto su CD. Il pubblico si aspettava da GEM sempre e solo primizie. E così è stato.

GEM Genesys – Foto Oostendorp

Caratteristiche

Lo strumento aveva uno chassis innovativo ed accattivante, mentre le dotazioni hardware e software svettavano fra i rinnovamenti tecnologici del momento come la funzionalità di trattamento dei dati in formato audio, sia con lettore MP3/WAV sia con possibilità di registrazione audio sul disco fisso integrato, oltre al caso insolito per gli strumenti a tastiera di essere fornito di lettore DVD e masterizzatore CD. Gli speaker erano davanti e puntavano verso il musicista, fungendo così da monitor, in modo molto originale. Il display VGA ad alta risoluzione era brillante e ben retroilluminato: offriva un’ottima funzionalità LYRICS ma dava il meglio con la pagina SCORE, estrapolando la partitura da una traccia del MIDI file in chiave di SOL. Era stata una scelta all’avanguardia che solo Yamaha ha saputo poi migliorare con Tyros e Clavinova CVP. La wavetable suonava bene rispetto gli strumenti dell’epoca (ricordo con piacere i suoni pastosi di pianoforte acustico e quelli irrequieti di piani elettrici). In genere, gran parte dei timbri non suonano male neanche oggi e non impallidiscono affatto davanti a strumenti più recenti. Come noto, GEM progettava e produceva tutto in casa, compreso il processore Drake che ha fatto la storia.

Il team

Il gruppo di persone, che ha curato la progettazione di Genesys, proveniva dalla struttura che aveva fatto WK4 e WK8: Enzo Bocciero, Marcello Colò (sempre lui, la nostra preziosa fonte di informazioni) e Gianni Giudici avevano curato l’evoluzione delle risorse musicali. Fabrizio Bracalenti aveva seguito tutta la parte del sequencer, HD e CD. Anselmo Bordi aveva sovrinteso il layout del pannello comandi e Bruno Cesanelli la gestione di interfaccia dello strumento.

Genesys XP – Foto: Generalmusic

Responso della clientela

Nonostante la notevole qualità dello strumento, Il prodotto è stato accolto tiepidamente dal mercato. Inizialmente lo chassis aveva segnato difficoltà di vendita a causa del fatto di essere pesante ed ingombrante. GEM era corsa immediatamente ai ripari con una variante più leggera e non amplificata (Genesys PRO) e che presentava per la prima volta un display a scomparsa (vi dice qualcosa?). Successivamente uscì l’edizione expander Genesys XP. Ma i grandi numeri delle serie WS, WX e WK erano definitivamente dietro le spalle. Del resto, la concorrenza si era fatta ancora più spietata con gli annunci di Korg Pa1X, Yamaha Tyros, e Ketron SD1.

Nella rubrica di Arranger Legacy abbiamo spesso parlato di strumenti che hanno lanciato nuove aziende o nuove linee di modelli. Non è il caso di Genesys. In quegli anni, GEM stava esaurendo le proprie risorse economiche, alla vigilia di una crisi che – dal 2008 in poi – avrebbe portato progressivamente alla chiusura dei cancelli dell’azienda. L’arranger Genesys (insieme al pianoforte Pro Mega) ha fatto quindi da colonna sonora all’ingresso dell’azienda nel viale del tramonto: lo staff era in via di spopolamento e il laboratorio non rilasciava più progetti totalmente innovativi da alcuni anni. Genesys è nato quindi a fine corsa della storia di quella Generalmusic che – dopo la chiusura – ha lasciato un grande vuoto nella comunità mondiale degli appassionati di tastiere musicali.

Concludiamo, come da tradizione della rubrica, dando spazio a Marcello Colò e alla sua dimostrazione degli stili di GEM Genesys.

Arranger Legacy | Ketron Midjay

Una brillante idea

Ventun anni fa, nel 2002, dopo aver raccolto per anni consensi internazionali grazie ad una lunga schiera di tastiere arranger (si vedano le serie MS, X e SD), nel centro R&D di Ancona nasceva un progetto originale ed innovativo con il quale uscire dal seminato e andare a coprire le nuove tendenze del mercato che si stavano delineando. L’azienda era già impegnata nel rinnovamento delle proprie piattaforme tecnologiche, mentre un giovane ingegnere, a cui era stato assegnato questo compito, insieme allo storico direttore musicale dell’azienda (Sandro Fontanella) elaboravano un nuovo prodotto che sarebbe uscito sul mercato due anni più tardi, nel 2004, e sarebbe diventato un top seller di vendite per gli anni a venire. Il nome scelto per il prodotto era MidJay e quel giovane ingegnere era Giorgio Marinangeli, oggi membro attivo di Arranger Legacy. Vi consiglio quindi di correre subito a leggere il suo articolo, quello uscito oggi sul suo blog, in sincronia con questo mio, per prendere atto della sua esperienza diretta! Direi di più, siamo fortunati: nel gruppo abbiamo anche Marcello Colò il quale, entrato in quell’azienda in corso di progetto, parteciperà alla costruzione e definizione finale dei suoni, degli stili e delle demo di MidJay. Diciamo quindi che le fonti della puntata odierna di Arranger Legacy sono di primissima mano.

Come da tradizione di questa rubrica, potete seguire i contributi diversi, pubblicati dal team in quadrifonia: Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali, Giorgio Marinangeli sul suo blog omonimo, Marcello Colò su YouTube, oltre che in questo articolo che state leggendo. Ognuno di noi racconta lo strumento dal proprio punto di vista.

Abbiamo dedicato le edizioni precedenti di Arranger Legacy a:
Farfisa 7X
Solton TS4K by Ketron Lab
Roland E-20, E-10, E-5 e PRO E
Korg i5M, i5S
Generalmusic WS2
Technics SM-AC1200

Il contesto

Erano gli anni in cui si diffondevano i primi file audio, soprattutto MP3, fra i musicisti che si esibivano dal vivo nei locali, nei piano-bar, alle feste, ai matrimoni, nelle discoteche e nelle balere. La diffusione di quei formati si faceva più interessante rispetto i MIDI file che – dopo aver dilagato nei dieci anni precedenti – avevano creato una nuova generazione di musicisti-intrattenitori che si presentava sul palco con una valigiona piena di floppy disk per essere pronti a suonare con il più vasto repertorio. Nei PC e Mac di casa o in studio, si cominciavano a produrre segmenti audio da portare poi sul palco. Era diventata dunque un’esigenza reale dei musicisti di allora: disporre di uno strumento che potesse contenere una più ampia mole di dati da mettere rapidamente in esecuzione dal vivo. Giorgio ricorda di avere avuto l’intuizione nel corso delle serate estive quando, nel tempo libero, suonava sulla riviera del Conero (Ancona): c’era in particolare un suo collega che lavorava dal vivo con GEM WX2 (expander e lettore di MIDI file), dove inevitabilmente la gestione delle basi era complicata dall’uso di centinaia di dischetti: si doveva inserire un floppy disk, caricare le basi, suonare, e poi togliere il disco e metterne un altro e così via. Serviva dunque una macchina altrettanto leggera e compatta, da porre su un leggio, ma che avesse tutto dentro a portata di mano. Una macchina da usare come lettore delle tradizionali basi MIDI ma anche delle nuove tracce audio, da usare come expander, come mixer con tutti i suoi slider, dotato di ingresso microfonico ed effetti. Serviva insomma una macchina multifunzionale. Qualcosa sul mercato c’era ed erano prodotti validi come il Viscount Galileo che leggeva le basi MP3, ma lo faceva da memoria SD con un taglio non illimitato; c’era Charlielab Megabeat One, che era molto forte sugli Standard MIDI file; c’era anche l’eccellente Merish originale di M-Live – diffuso sin dalla fine degli anni 90, ma abile a gestire solo le basi MIDI. Insomma, Ketron aveva in mente uno strumento più completo, che non avesse lacune. MidJay è stato presentato nel 2004 al Disma di Rimini e al Musik Messe di Francoforte: da subito, tutti nel settore avevano capito che sarebbe stato un grande successo.

Caratteristiche principali

Lascio ovviamente la descrizione tecnica del prodotto alla penna di Giorgio e al suo blog: in questa sede, mi limito a sottolineare come il MidJay fosse diventato uno strumento indispensabile per chi faceva decine/centinaia di serate di piano-bar per tutto l’anno (era l’ideale per il musicista singolo, il duo, il trio…): grazie ai 20GB di disco interno, permetteva di avere a toccata di mano un numero devastante di basi audio (e MIDI). Stava tutto in una valigetta, pesava 3,2kg: te lo portavi dappertutto e lo piazzavi facilmente su un leggio. Fra i primi utilizzatori del tempo, c’erano anche le orchestre di liscio, che ne acquistavano due per volta, come backup. Di riflesso, MidJay è entrato anche nelle discoteche e molti deejay lo hanno usato per lanciare i brani audio al semplice tocco. MidJay ha fatto capolino anche negli studi delle radio private, giacché era comodo per lanciare i jingle pubblicitari, in un tempo in cui l’accesso immediato ai file audio richiedeva strumenti dedicati.

Il modulo inizialmente non avrebbe dovuto avere una sezione arranger, ma, a progetto quasi concluso, Sandro Fontanella ha avvertito la necessità di introdurre gli stili di accompagnamento per rafforzare il prodotto ed evitare il rischio di essere percepito come troppo sperimentale. Il centro R&D di Ancona ha allora ripreso la libreria stili dei modelli SD e l’ha riprogrammata interamente, dato che il MidJay aveva una piattaforma software tutta nuova e non si poteva usare la tecnologia degli arranger precedenti. La scelta di recuperare quegli stili si è rivelata poi vincente, avendo attirato sullo strumento un ampio numero di fisarmonicisti.

Molti apprezzavano il fatto che il MidJay, mentre veniva usato come expander, arranger o semplice lettore di basi audio/MIDI, era in grado di registrare tutto quello che succedeva nello strumento o dall’ingresso audio. Si trattava di HD Recording in formato stereo pensato originariamente per registrare le proprie performance. In realtà numerosi musicisti si registravano tutta la serata in diretta per poi riascoltarsi il giorno dopo per valutare le proprie esecuzioni e migliorarsi, per avere un archivio delle proprie serate live, o addirittura per ottenere demo da distribuire a nuovi clienti a testimonianza delle proprie capacità musicali.

Il laboratorio Ketron è sempre stato celebre come fucina di idee creative. 100 idee nuove nascevano tutti i giorni. E MidJay le stimolava tutte perché per l’epoca era una novità, fuori luogo rispetto gli standard abituali. La curiosità di Giorgio lo aveva portato a verificare con attenzione come lavoravano i musicisti negli Home Studio che nascevano come funghi in quegli anni. Di qui è nata l’idea di sviluppare la funzionalità del DJ Loop utile per concatenare diversi segmenti audio e creare dal vivo performance interattive e creative: per superare i limiti di memoria, i brani audio erano elaborati in streaming da HD, non si avevano quindi limitazioni di lunghezza, tranne lo spazio del supporto fisico. Si prestava a mille usi. DJ Loop è stato l’embrione da cui sono nati gli stili realistici di Audya (Real Drum, Live Guitar) che – per la prima volta sul mercato – hanno fatto apparire tracce audio entro gli accompagnamenti di un arranger (nota: tecnologia che ha raggiunto la perfezione nel recente Ketron Event). Insomma, MidJay è stato l’incipit di un nuovo futuro per Ketron.

Le vendite stellari di MidJay hanno stuzzicato la curiosità dei grandi produttori giapponesi che hanno provato a fargli concorrenza. Ma non hanno avuto la stessa fortuna: qualcuno di voi ricorda Korg MP10 e Roland VIMA. Questi non avevano la completa multifunzionalità di MidJay e, pertanto, non sono riusciti ad impensierire il direttore commerciale di Ketron. Forse gli unici strumenti a tenere il passo in quegli anni sono stati quelli prodotti da M-Live ma, non disponendo di sezione arranger, non erano poi competitivi su tutto lo spettro funzionale.

I protagonisti di questa storia

Il team che ha sviluppato MidJay era composto di persone di talento. Al vertice c’era Sandro Fontanella coordinatore e project leader, una autentica autorità mondiale quando si parla di arranger. Di Giorgio Marinangeli vi abbiamo già detto: era stato assunto per studiare la nuova piattaforma che avrebbe sostituito quella inaugurata con la serie MS e si è trovato a costruire tutta la parte software di MidJay. Maurizio Leonardi si è occupato della componente hardware e bisogna riconoscergli il merito di aver realizzato un gioiello di ergonomia. Marcello Colò si è unito a progetto in corso per raffinare le parti musicali, mentre Stefano Baldarelli era di supporto per la gestione delle fisarmoniche.

Oggi Sandro Fontanella e Maurizio Leonardi sono ancora operativi in Ketron e la loro ultima creatura, Event, ha stupito il mondo. Di questa nuova ammiraglia vi ho già scritto in diverse occasioni e, se vi capita di provarla in un negozio di strumenti musicali, fate attenzione: potrebbe fare breccia nel vostro cuore al punto di non separarvene più.

Marcello ha raggiunto da pochi mesi l’obiettivo agognato degli italiani: la pensione! Ma è ancora in gran forma e ora può dedicarsi ai suoi progetti preferiti: con l’aiuto del quarto membro di Arranger Legacy, Riccardo Gerbi, ha scritto il libro che rappresenta la sua auto-biografia professionale, produce tutti i video dimostrativi dei prodotti raccontati in questa rubrica; continua ad essere un collaboratore di Ketron, seppure dall’esterno, e sta per lanciare progetti nuovi di cui vi racconteremo presto. Al fondo di questo articolo, trovate il link alla demo di Midjay prodotta in video dal nostro Marcello.

Giorgio Marinangeli ha lasciato Ketron nel 2015: oggi è Project Manager presso un’azienda di Electronics Automotive e consulente di una delle più grandi case produttrici di chipset dedicati al mondo embedded. Molto spesso gli viene chiesto perché non ha continuato a fare strumenti musicali da qualche altra parte. Ovviamente gli sono state presentate altre occasioni e proposte, anche da case molto importanti del settore, ma di volta in volta ha deciso di declinare le varie offerte. “Paganini non ripete!” ama dire.

Successo ed eredità di MidJay

In termini commerciali, MidJay ha venduto nei diversi continenti: container interi venivano abitualmente spediti in ogni angolo del mondo avendo un riscontro globale. Un mercato in particolare, la Corea, ha ordinato lo strumento in quantità ingenti. Ci piace pensare che MidJay abbia contribuito a creare una cultura dell’intrattenimento musicale moderno in quel paese, generando in modo seminale, quello che oggi chiamiamo K-Pop e rappresenta il fenomeno musicale di più grande fermento su scala mondiale degli ultimi 5 anni.

Come abbiamo visto, MidJay ha dimostrato una grande longevità. Ci sono numerosi musicisti nel mondo che lo adoperano ancora oggi. Chi ce l’ha, se lo tiene stretto. Raramente uno strumento musicale digitale è stato a listino così a lungo: dal 2004 fino al 2018. A dire il vero, negli ultimi anni era nata una riedizione dello stesso (MidJay Plus): non si trovavano più i componenti, in particolare serviva un display diverso perché quello originale non si trovava più da nessun fornitore. Resta il fatto che la versione originale è sempre stata la più richiesta. L’idea si è dimostrata così valida e ancora oggi viene percepita come moderna: è una macchina all-in-one utilissima anche nel 2023, le connessioni sono ancora attuali.

Qualche rammarico? Ketron è una piccola azienda artigianale: al tempo non disponeva delle risorse musicali per produrre una vasta libreria di brani audio per il DJ Loop. Se le avesse avute, il successo sarebbe stato di gran lunga superiore. E ancora: se l’azienda avesse trasferito la produzione in Asia, i listini sarebbero potuti scendere e MidJay sarebbe in cima alle vendite ancora oggi. Non so voi, ma io sono totalmente affascinato dalla storia di questa piccola azienda anconetana che un giorno ha deciso di competere con i grandi del mondo, mantenendo le radici nel nostro Paese e facendo sventolare alta la bandiera del Made in Italy.

Arranger Legacy | Farfisa 7X

Ritorna la rubrica Arranger Legacy: i fedeli lettori di questo blog sanno che si tratta del lavoro di una squadra di cui, oltre al sottoscritto, fanno parte Giorgio Marinangeli, Marcello Colò e Riccardo Gerbi. Con questi contributi corali, vogliamo celebrare gli strumenti arranger che hanno reso grande la storia di questo comparto di strumenti musicali.

Fra i tanti produttori di arranger del passato, il nome di Farfisa merita un posto di riguardo. Le radici del marchio risalgono al dopoguerra: la società nasce come fabbrica di fisarmoniche nel 1946 a Castelfidardo (AN). Negli anni successivi, la produzione diverge fra fonovaligie (giradischi insomma), televisori ed amplificatori, per poi ritornare nell’alveo degli strumenti musicali. Nei primi anni 60, Farfisa lancia Compact, la prima generazione di organi elettronici prodotti in serie. Nell’arco dei lustri a seguire, numerosi gruppi celebri dell’epoca (come Doors, Led Zeppelin, Procol Harum, Pink Floyd, Genesis, Van Der Graaf Generator, Tangerine Dream e altri ancora) utilizzano vari modelli di organo Farfisa. La differenziazione creativa continua nel tempo ed è così che l’azienda passa a costruire citofoni (sic!), chitarre e pianoforti acustici. Questi ultimi, in particolare, uscivano dallo stabilimento inizialmente con i marchi Furstein e Fustenberg. Successivamente, grazie ad un’acquisizione, compare anche il celebre nome di Anelli Cremona. Come potete immaginare, la scelta di distribuire con marchi diversi è una strategia commerciale studiata a puntino, al fine di poter vendere pianoforti a più negozi nella stessa città. 

Fate clic qui: Arranger Legacy su SM Strumenti Musicali di Riccardo Gerbi.

Nel 1984 Farfisa entra a far parte del gruppo Bontempi. Ma, anno dopo anno, i volumi di vendite si fanno critici a causa della incipiente e devastante concorrenza giapponese. Per riuscire a resistere alle emergenti sfide del mercato, Farfisa passa finalmente alla progettazione e produzione di arranger. Il 1991 è l’anno di esordio con F1: ha 76 tasti pesati, un processore creato in casa, supporta diverse forme di sintesi (additiva, FM, PC), 8 DSP e ha amplificatori a bordo. È, per l’epoca, un gioiello tecnologico. Accanto a F1, esce F3: un modello più leggero, con 61 tasti ma senza amplificazione. L’evoluzione segue nel 1994 grazie a F5, con 61 tasti e amplificatori, seguono successivamente F7 e F8. Con il 1995, l’azienda italiana rinnova la notevole serie F introducendo tre nuovi arranger portatili che vanno a celebrare in bellezza questa storia importante. G7 e G8 hanno 61 tasti, sequencer e floppy-disk: hanno un discreto livello di vendite e godono di una buona reputazione sulla stampa specializzata di quegli anni. Il terzo è 7X, versione expander di G7: raccoglie un pregevole consenso fra fisarmonicisti e, soprattutto, chitarristi. Per la cronaca, Farfisa chiude definitivamente la produzione di strumenti musicali nel 1998. Oggi, il nome Farfisa sopravvive per la sola produzione di videocitofoni, ramo d’azienda che era stato ceduto ad altra proprietà nel 1992, probabilmente per fare cassa e ottenere risorse da destinare allo studio e alla produzione di arranger.

Farfisa 7X (chiamata abitualmente Seven X) è il modello su cui ci concentriamo oggi. Dalla vasta collezione di Giorgio Marinangeli, abbiamo infatti l’opportunità di vedere da vicino questo expander: ha 128 suoni mappati secondo lo standard GM dell’epoca, un display luminoso, riverbero e chorus. Permette di salvare 16 voci personalizzate e include una sezione arranger composta da 72 stili di accompagnamento. Le ragioni di interesse sul mercato, rispetto la concorrenza dell’epoca, consiste nella presenza di due ingressi: da una parte è possibile collegare una chitarra e arricchirne il suono con overdrive e distorsore, dall’altra è possibile sfruttare il secondo ingresso microfonico per collegare un microfono e accedere agli effetti di vocoder e armonizzatore; quest’ultimo aspetto, unitamente al fatto di essere un valido lettore di basi MIDI con capacità di visualizzare i testi sullo schermo e collegamento SCART verso i monitor TV, lo rende molto interessante per cantanti e per spettacoli di karaoke. Non possiamo poi tralasciare la capacità aggiuntiva di collegare una fisarmonica. In sintesi, oltre al sequencer a 16 tracce, di fatto 7X è un prodotto versatile e può essere usato come modulo arranger, come semplice expander, come player di Standard MIDI file o come dispositivo per cantanti o serate karaoke. Tutti i dettagli tecnici sono descritti nel blog di Giorgio Marinangeli.

Al giorno d’oggi, la memoria di Farfisa è conservata da Claudio Capponi che, oltre a gestire uno spazio web con informazioni utili, organizza il Farfisa Day, l’evento celebrativo della storia di questa rinomata azienda (l’ultima edizione, l’undicesima, si è svolta lo scorso settembre 2022 nella stessa Castelfidardo). Mi sono rivolto a Claudio come fonte principale delle informazioni qui raccontate e, grazie ai suoi contatti, sono riuscito a raggiungere la testimonianza di Carlo Pierité, colui che, per conto dell’azienda marchigiana, ha inventato il Night & Day, una soluzione tecnica che permette di gestire la contattiera sotto la tastiera in modo da fermare il martellino a 2mm dalla corda e, con il silenziamento, ascoltare il suono soltanto dal generatore sonoro digitale in cuffia. Questo brevetto consente a Farfisa di produrre – ante litteram – il primo pianoforte ibrido della storia.

Tutti gli articoli di Arranger Legacy terminano con la dimostrazione eccellente del prodotto da parte di Marcello Colò. Enjoy!

Il viaggio di Marcello Colò nell’industria musicale italiana

Questo è un libro che i lettori del blog Tastiere Arranger devono assolutamente leggere.

Il protagonista è Marcello Colò: ha avuto la fortuna di vivere nella cabina di regia l’epoca industriale italiana della musica dagli anni ’70 ad oggi. La storia si è svolta tutta nelle Marche (e in un pezzo di Romagna), nel centro globale per la tecnologia e l’innovazione degli strumenti musicali che hanno avuto successo in tutto il mondo. Il curriculum di Marcello spicca per la trasversalità con cui ha attraversato quegli anni: lui ha vissuto in prima persona la progettazione e la costruzione dei migliori synth e arranger di elaborazione italiana nelle diverse aziende con cui ha collaborato.

Nel libro “Scusi, ma lei che lavoro fa?” troverete la grande storia di CRB Elettronica di Duilio Borsini, un’azienda che ha forgiato un’intera generazione di professionisti del settore. Marcello ci racconta poi la fugace esperienza dei prodotti Delco. Nelle pagine successive, si possono conoscere da vicino gli inizi di Ketron Lab con la larga distribuzione internazionale curata dalla teutonica Solton. Il cuore del racconto riguarda la fortunata e lunga parabola di successo di Generalmusic, alias GEM. Le vicissitudini degli arranger professionali continuano con il Made in Italy di Korg e la distribuzione Syncro. In conclusione, il libro si porta a compimento con la straordinaria innovazione italiana avviata dall’indipendente Ketron e l’introduzione degli streaming audio negli arranger.

È un perfetto equilibrio fra viaggio nella tecnologia musicale e racconti di umanità vera. Si avverte il contributo della penna di Riccardo Gerbi nella stesura di quest’opera. Non vi nascondo che è un’emozione particolare per me commentare il lavoro prodotto da due amici e colleghi del team Arranger Legacy insieme a Giorgio Marinangeli (per la cronaca, protagonista di un capitolo del libro).

Del resto, pur citando una teoria sterminata di strumenti musicali e un elenco ricco di nomi e cognomi di persone, il libro si fa apprezzare come un racconto avvincente ed appassionato. Quando ho cominciato a leggerlo, sono stato catturato dalla smania di lettura e l’ho divorato in breve. Si narrano storie di persone e momenti di emozione; i dati tecnici sono annegati nel racconto e non annoiano mai; ci sono numerose foto a testimonianza dell’autentica e genuina sorgente di questo libro.

Ma, al di là della mia vicinanza con gli autori di quest’opera, devo riconoscere che oggettivamente questo libro vale tutta la vostra attenzione. Noi appassionati di arranger, abbiamo qui la possibilità di scoprire – da una fonte originale – molte informazioni sconosciute ai più e legate alle tastiere con accompagnamenti prodotte negli anni da GEM, Korg e Ketron. Non mancano poi riferimenti a SIEL, Roland, Technics e Yamaha.

Da pochi giorni, il libro può essere acquistato su Amazon e pare che stia scalando le classifiche di vendita nella sua categoria. Potete ordinare la versione cartacea (10,40€) oppure quella digitale su Kindle (2,99€). È una piccola spesa, ma – se siete un appassionato di tastiere musicali o un addetto ai lavori – il valore che potete ottenere in cambio, è incommensurabile.

Arranger Legacy | Solton TS4K by Ketron Lab

Continua la saga di Arranger Legacy: ideata da Riccardo Gerbi di SM Strumenti Musicali, questa è l’avventura web che coinvolge Marcello Colò, Giorgio Marinangeli e il sottoscritto. Abbiamo un solo fine: rinnovare la memoria degli strumenti arranger e, soprattutto, dei protagonisti che hanno fatto grande la storia delle tastiere digitai. Avevamo cominciato la rassegna con GEM WS2, siamo poi passati a Korg i5M e Roland E-20 / PRO-E. Oggi tocca a Solton TS4K by Ketron Lab.

Nel 1989, la società tedesca Solton era giunta al quarto anno di intensa collaborazione con la rampante azienda italiana nota come Ketron Lab. Nell’ambito di quella sinergia internazionale, l’azienda marchigiana progettava e realizzava innovativi strumenti musicali di pregevole fabbricazione, mentre Solton si occupava della promozione e distribuzione. Le idee, la genialità, il progetto, l’hardware e il software erano il frutto del lavoro di Ketron Lab. Non era una struttura immensa con stuoli di ingegneri e musicisti e non c’erano i grandi capitali come nelle corporate giapponesi: Ketron era una piccola realtà, ma era ricca di talenti. Proprio nel 1989 veniva presentato al mercato un nuovo modello di arranger con l’etichetta Solton by Ketron Lab. Era prodotto in due versioni: modulare a rack (TS4) e con tastiera a 49 tasti dinamici (TS4K), prendendo ispirazione da strumenti già progettati precedentemente e anche visti da altre aziende (come Elka OBM 5 dell’anno precedente).

Era un’epoca storica in cui il comparto arranger in generale era in forte e spiccata evoluzione: le caratteristiche dei vari produttori non si erano ancora standardizzate (come succede invece al giorno d’oggi). Ogni nuovo modello spiccava per originalità e creatività. Prima di TS4K, il Ketron Lab aveva realizzato diversi arranger, fra questi vale la pena citare in ordine cronologico: Super PolyVox, Programmer 24 e Plusby.

Caratteristiche principali

Le specifiche tecniche di TS4K farebbero sorridere gli strumenti in distribuzione oggi, ma – per quei tempi – anche le piccole cose facevano la differenza. Ad esempio, una delle ragioni del successo fu legata alla presenza di un largo display che consentiva di leggere con chiarezza lo stile attivo e i suoni utilizzati. Era una novità per i tempi: dopo anni di semplici e piccoli schermi a segmenti led (solo numerici), finalmente i musicisti potevano beneficiare di una chiara lettura delle risorse attive dello strumento. La tecnologia sotto il cofano era ibrida: accanto ad una struttura digitale affidata al motore M114 di SGS (tutti i dettagli tecnici sull’articolo del Blog di Giorgio Marinangeli, lettura vivamente raccomandata!), compariva una tavolozza sonora di grande carattere digital/analog, ideata per ottenere i timbri necessari per un vasto repertorio. Un’altra caratteristica interessante per i clienti di TS4 e TS4K era la presenza di un lettore di Memory Card esterne che permetteva di caricare nuovi stili o di salvare le proprie programmazioni. Le card contenevano stili di accompagnamento per i mercati di Spagna, Francia e Germania.

Solton TS4K by Ketron Lab

Il focus era quello dell’intrattenimento dal vivo, ovvero il tastierista o il fisarmonicista (da solo, in duo o trio), nei contesti della sala da ballo. Del resto, negli anni ‘80 la musica dal vivo ancora dilagava e furoreggiava in quei contesti.  L’azienda di Ancona “coccolava” in particolare i musicisti del folklore offrendo suoni e stili particolarmente centrati per la musica da ballo tradizionale: con il tempo, March, Polka, Waltz e Tango sono diventati il segno di riconoscimento indiscusso di Ketron nel comparto arranger. Nemmeno i colossi nipponici – ancora oggi – sono riusciti a competere in continuità con l’azienda italiana in quel repertorio.

Protagonisti

La squadra del 1989 era capitanata da Sandro Fontanella, una figura di riferimento nel mondo dei produttori di strumenti musicali: ancora oggi Sandro è alla guida creativa di Ketron e la sua vena di genialità non si è esaurita (pare che ne vedremo ancora delle belle da Ancona). Responsabile dello sviluppo software era Maurizio Leonardi, mentre Mario Falcioni (recentemente scomparso) era responsabile della parte hardware. La direzione vendite era nelle mani di Paolo Marchegiani anche se il motore commerciale sul mercato girava in Germania sotto l’egida di Solton. Fra i programmatori degli stili, i nomi noti erano quelli di Riccardo Burattini e Marcello Colò (sempre lui, mia fonte principale per la stesura di questo articolo). Il mercato era ruggente e la vivacità dei riscontri era tale che i dimostratori Ketron erano spesso chiamati a improvvisi viaggi per le dimostrazioni del prodotto. Marcello ricorda ancora oggi quel giorno in cui Sandro Fontanella gli ha chiesto di partire in un amen alla volta di Azzano Decimo (PN), quasi 500km da Ancona, per una “demo last minute”, improvvisata, così su due piedi.

Da sempre Ketron è stata molto attenta e meticolosa nella realizzazione dei propri style. Il disegno ritmico e, soprattutto, i suoni che lo contornavano (Bass, Chord ed altro) erano studiati e centrati al millesimo. La cura dei dettagli era così esasperata che i programmatori spesso si vedevano restituire gli style da Fontanella che, prima di approvarli, li ascoltava e testava con la massima attenzione per cogliere ogni sfumatura possibile: e succedeva frequentemente che – se il nuovo stile non corrispondeva alla perfezione – tornasse indietro al programmatore per essere riscritto da capo.

Un successo discreto e duraturo

Non sono noti i volumi di vendita, ma era risaputo quanto Solton andasse forte in tutta Europa e TS4K ha avuto un’onda di vendite molto lunga nel tempo: un aspetto vincente per i clienti Ketron è sempre stata la longevità dei prodotti sul mercato. Oggi siamo abituati a vedere modelli che accusano segni di obsolescenza dopo soli 2-3 anni. Ketron invece ha sempre garantito una lunga vita commerciale e tecnologica ai propri prodotti: i clienti hanno apprezzato questa scelta, giacché permetteva di proteggere i propri investimenti. Del resto, questa buona tradizione si è ripetuta modello dopo modello: pensate al MidJay, per esempio, che ha tirato sul mercato anche dopo un decennio.

Concludiamo con l’ascolto e la visione della dimostrazione di TS4K, a cura dell’amico e collega della squadra di Arranger Legacy, Marcello Colò.

Arranger Legacy: Roland E-20, E-10, E-5 e PRO E

Era una gioia inedita suonare un arranger alla fine degli anni 80. Che tempi memorabili, quelli in cui si entrava nei negozi di strumenti musicali per cercare tastiere dalla tecnologia tutta nuova: avevano suoni e accompagnamenti brillanti che ti colpivano al cuore al punto che, dentro alla tua immaginazione, ti sentivi un direttore di una grande orchestra, il leader di una ricercata jazz band o una celebre rock star. Erano apparsi sul mercato gli arranger della serie E: il mondo delle tastiere musicali non sarebbe più stato lo stesso.
Tenetevi forte: Arranger Legacy, rubrica corale coordinata da Riccardo Gerbi di SM Strumenti Musicali, oggi si occupa di uno dei momenti di svolta più cruciali nella storia degli arranger.

Roland PRO-E

Italia contro USA

Siamo nella seconda metà degli anni 80: la giapponese Roland Corporation decide di entrare nel mercato degli arranger portatili, allora dominato da Technics e Yamaha. E intende farlo affidando la progettazione ad un centro R&D di cultura musicale occidentale. Come succede spesso nell’industria, assegna il compito a due studi diversi, uno lavora all’insaputa dall’altro. Il primo è in Italia ad Acquaviva dove si sta trattando di acquisire SIEL SpA, produttore di strumenti musicali elettronici. Il secondo è a Chicago (USA) dove Roland contatta una squadra di risorse uscite dalla gloriosa Lowrey, azienda produttrice di rinomati organi. I risultati delle due progettazioni sono messi a confronto e valutati: e con un colpo di scena, i giapponesi decidono di premiare gli italiani assegnando a loro la vittoria nella sfida.

E così nel 1987 si chiude la parabola di SIEL e Carlo Lucarelli assume le redini della neonata Roland Europe. I manager sono tutti italiani di provenienza SIEL: fra questi Francesco Rauchi dalla grande esperienza e un giovane dimostratore e consulente alla progettazione; si chiama Luigi Bruti e a lui viene assegnato un compito di responsabilità nel laboratorio musicale di Acquaviva.

Roland MT-32: il motore sonoro

In questo contesto, l’azienda marchigiana ha la possibilità di accedere alle moderne ed innovative tecnologie giapponesi e, in particolare, al generatore sonoro multi-timbrico Roland MT-32 che all’epoca sembrava un missile lanciato verso il futuro: suoni belli, molto caldi, con forti effetti di reverbero come mai prima si erano sentiti. La tecnologia proprietaria è nota come LA Digital Synthesis: deriva da D-50, il top seller delle workstation Roland, ma ridotto per l’occasione ad un numero inferiori di algoritmi e di operatori. La polifonia è di 32 note. I timbri hanno un ottimo amalgama nel mix e suonano efficaci nel loro insieme, anche se non tutte le voci eccellono se ascoltate ad una ad una. Ad esempio, il primo suono all’accensione è un pianoforte elettrico, mentre il timbro di pianoforte acustico è in secondo piano. MT-32 era già di suo una macchina convincente e, nelle mani di Roland Europe, diventa una macchina da guerra andando a conquistare il pianeta arranger. Vediamo come.

Roland MT-32

La nuova sezione arranger

Come da tradizione di Arranger Legacy, vi segnalo l’articolo pubblicato in contemporanea a questo da parte di Giorgio Marinangeli per l’approfondimento tecnico del prodotto. In questa sede, mi limito a segnalarvi che gli stili di accompagnamento preset sono 32; i pattern sono disponibili nelle varianti Basic e Advanced; i Fill-In si distinguono in Fill-To-Original e Fill-To-Variation. Ogni stile ha cinque parti: Drum, Basso, Acc1, Acc2 e Acc3. Ciascuna parte spicca per varietà: sono infatti programmate in modo specifico per gli accordi di maggiore, minore e settima. È un brevetto Roland sviluppato ad Acquaviva: alle altre tastiere dell’epoca manca ancora questa pluralità musicale: nel passaggio da maggiore a settima dello stesso accordo, entra in azione un secondo pattern che aggiunge abbellimenti o risolve il basso in concordanza. Tutto questo contribuisce a dissolvere il senso di ripetitività dei cicli in loop.

Lo stile di programmazione è il più rigoroso possibile dal punto di vista armonico, con il fine esplicito di consentire la massima flessibilità per chi suona. Roland Europe segue con disciplina un decalogo di regole interne per programmare stili “aperti”, con l’obiettivo di concedere al musicista la libertà di scegliere la propria progressione armonica. Nei pattern di settima il basso non tocca mai la sesta né la sesta minore per consentire al tastierista la scelta di risolvere in maggiore o minore in tempo reale. Siamo all’opposto degli arranger programmati per suonare Song Style. Qui gli stili sono i più versatili e lo stesso arrangiamento può essere usato per una gamma ampia di repertorio senza stancare mai. Sotto questo punto di vista, Roland si distanzia da tutti i concorrenti e si farà apprezzare da uno stuolo smisurato di tastieristi.

Anche il riconoscimento degli accordi è un brevetto Roland dell’epoca. L’identificazione si basa su una matrice dell’immagine delle note suonate a 12-bit (una sola ottava) poi evoluta a 24-bit (due ottave). L’algoritmo di calcolo è particolarmente veloce ed è in grado di riconoscere accordi di settima diminuita, settima con quinta diminuita, settima minore con quinta eccedente/aumentata, e quarta/settima sospesa.

L’arsenale di 32 stili di bordo può essere esteso grazie alle card di espansione i cui contenuti musicali saranno sviluppati negli anni da musicisti inglesi contribuendo ad accrescere il fatturato di Roland: era un mercato ricco e florido per l’epoca.

Roland E-20

E-20: esordio con il botto

Il debutto del 1988 prevede di lanciare due tastiere arranger a 61 tasti molto simili fra di loro (E-20, E-10) a cui saranno affiancati altri due modelli l’anno successivo: una versione ridotta all’essenziale (E-5) e una versione più evoluta per professionisti. Si chiama PRO E: ha tre ottave soltanto, in base all’idea di essere suonata dalla mano sinistra di un musicista che ha un altro strumento a tastiera da controllare con la mano destra. Non è ancora un modulo ma l’idea è talmente buona che, subito dopo, i giapponesi ne deriveranno un expander (RA-50, stavolta Made in Japan).

La presentazione al mondo di E-20 avviene in pompa magna al Musik Messe di Francoforte nel 1988. Il dimostratore, Roberto Lanciotti ricorda ancora quel giorno, quella demo e l’entusiasmo che ha generato.

Al Winter NAMM successivo, era il momento di presentare PRO E ed il numero uno di Roland Corporation, Ikutaro Kakehashi, era talmente elettrizzato da organizzare un evento fastoso a cui partecipano tutti i distributori Roland mondiali: in un teatro di posa, Knott’s Berry Farm di Los Angeles, Lanciotti esegue la demo del nuovo arranger usando i nuovi suoni ad effetto con rumori di tempesta e tuoni (i preset Storm e Thunder) mentre sul palco del teatro cade a pioggia acqua vera raccolta da un canale di scolo. La scenografia straordinaria dell’evento sarà ricordata a lungo.

Il modello PRO E è indirizzato ai professionisti: in quegli anni numerosi musicisti usano gli arranger dal vivo o in studio. Il fenomeno delle basi MIDI doveva ancora nascere e i musicisti suonano tutti dal vivo senza bluffare, ma ora possono abbandonare gli organi pesanti così difficili da trasportare e portare con sé un compatto arranger portatile.  E il positivo riscontro di tanti professionisti crea la consapevolezza ad Acquaviva di essere competitivi anche in quest’area: ed è così che da qui nascerà una linea di modelli dedicata ai professionisti e che durerà a lungo: i moduli RA-90 e RA-95, la prima tastiera arranger non amplificata in assoluto (G-800), il successivo G-1000, e poi VA-76, G-70 fino a BK-9.

I protagonisti del centro R&D

I personaggi principali di questa avventura meritano uno spazio nella Hall of Fame dei produttori di strumenti musicali: abbiamo visto come la guida del progetto è affidata a Francesco Rauchi e Luigi Bruti. I due si sono avvalsi della collaborazione di Roberto Lanciotti per la produzione delle risorse musicale (Bruti e Lanciotti sono le mie fonti principali delle informazioni raccolte per questo articolo).  Lanciotti in particolare si occupa della registrazione degli stili principali (8 Beat, 16 Beat, Funky 1, Funky 2) e della registrazione di tutte le demo. Fra gli altri musicisti coinvolti per la programmazione degli stili c’è Luigi Mangiocavallo (a lui di devono gli stili Swing e Jazz). Per programmare gli stili, si usa il Microcomposer MC-500, il sequencer hardware di casa Roland. Con un software proprietario i dati vengono poi migrati all’arranger. Non serve altro. 

Ma non ci sono soltanto loro: ricordate il centro R&D di Chicago che aveva perso la sfida e di cui abbiamo parlato qui sopra? Tre di loro (Dave Smith, Kazuo Ishibashi e Albert Knietkamp) sono coinvolti come consulenti: si trasferiscono in Italia per dare il proprio contributo alla verifica generale della nuova architettura musicale degli strumenti e allo sviluppo di alcuni stili.

Il responsabile del software è Demetrio Cuccù, del suo gruppo fanno parte Piero Cameli, Nicola Calò e Roberto Giobbi. La progettazione hardware è affidata a Paolo Maricotti mentre Piero Ficcadenti si occupa della progettazione meccanica.

Uno storico successo commerciale

Di tutta la prima serie E, il modello più celebrato è stato sicuramente E-20: il suo successo commerciale fu una cosa talmente grande da provocare un incredibile balzo economico a Roland Europe che raggiunse la prima fila – in termini di fatturato – davanti a tutte le altre filiali Roland nel mondo. Il modello E-20 fu prodotto in 200.000 esemplari (credetemi, un numero impressionante) se poi si aggiungono le altre varianti di modello, il numero totale si fa ancora più imponente. Gli italiani avevano incantato e superato la casa madre giapponese.  

Qual era il segreto della formula di questo trionfo? Una squadra affiatata e di talento che ha saputo sfruttare un generatore sonoro moderno come MT-32 affiancandogli un set di arrangiamenti creativi e brillanti, come non si era mai sentito prima. In un attimo gli altri arranger sul mercato con i loro stili “meccanici” erano invecchiati di schianto.

Roland PRO-E

Oggi

Acquaviva era un’autentica fucina di idee innovative che si applicavano anno dopo anno ai diversi modelli successivi. Il numero di brevetti era in crescita continua. L’uragano di vendite ha permesso a Roland Europe una crescita costante di mercato: negli anni a seguire ha aumentato gli investimenti, i prodotti e il numero di dipendenti fino a 250.

Francesco Rauchi è scomparso nel 2002 lasciando come eredità il progetto in fieri della fisarmonica digitale Roland V-Accordion portato a compimento da Luigi Bruti che, con il tempo, è diventato responsabile R&D e direttore marketing di Roland Europe fino al 2014, anno della chiusura 27 anni dopo la fondazione. Oggi Luigi è direttore R&D di Dexibell. Anche Roberto Lanciotti ha proseguito la collaborazione con Roland, dedicandosi alla creazione dei suoni a pannello degli arranger successivi (E-30, G-800, G-1000), continuando a svolgere il ruolo di dimostratore in tutta Europa fino a quando non cederà il passo a Peter Bartmaan, oggi noto dimostratore Yamaha. Lanciotti attualmente collabora con Dexibell per la registrazione dei suoni campionati dei pianoforti (ascoltate sue demo nel sito ufficiale).

In effetti, i 27 anni spesi dal gruppo di Acquaviva nel programmare arranger non sono andati perduti: questa esperienza è confluita in Dexibell dove ha potuto dare vita a XMURE, l’arranger software del futuro.

Dulcis in fundo, come da regola della rubrica Arranger Legacy, ascoltiamo insieme Marcello Colò nella sua dimostrazione di Roland PRO E.

Collegamenti agli altri contributi del team Arranger Legacy, pubblicati in contemporanea al presente articolo del blog Tastiere Arranger:
Riccardo Gerbi: http://www.smstrumentimusicali.it/arranger-legacy-roland-pro-e-
Giorgio Marinangeli: https://giorgiomarinangeli.wordpress.com/2022/05/09/roland-pro-e-larranger-intelligente/
Marcello Colò: https://youtu.be/RGMxaBvE24c

Arranger Legacy: Korg i5M, i5S

Nel secondo appuntamento corale di Arranger Legacy, ci spostiamo dall’Italia di Generalmusic WS2 del 1990 al Giappone di Korg i5M e i5S del 1995. Potete leggere la presentazione di Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali, approfondire la descrizione tecnologica di questi strumenti nel blog di Giorgio Marinangeli e osservare la dimostrazione video di i5M registrata da Marcello Colò.

In principio era Korg i3

Immaginate di essere un tastierista nel 1995, all’epoca della Golden Age degli arranger. Da due anni, Korg è rientrata nel mondo delle tastiere con accompagnamenti e lo ha fatto dalla porta principale con la presentazione di Korg i3 (NDA: da non confondere con il modello omonimo del 2020) e i2 a 76 tasti. Grazie alla considerevole reputazione guadagnata sul campo dei professionisti da parte di i3, la casa giapponese decide di uscire a raffica sul mercato, proponendo nell’arco di 12 mesi ben 5 prodotti derivati dal capostipite: da subito, compare la versione pianistica di i3, si chiama i1 e ha 88 tasti pesati; segue la versione con 61 tasti e amplificatori di bordo (i4S); sempre nello stesso anno, fa capolino iH processore vocale con riconoscimento degli accordi e fanno la loro apparizione i due modelli-fratelli i5S e i5M; il primo ha 61 tasti (dopo aver montato per anni tasti Yamaha, per la prima volta uno strumento Korg monta tasti Fatar) mentre il secondo non ha tasti affatto: è l’esordio di Korg nel mondo degli expander.

Gli arranger Korg della serie i

L’appuntamento odierno di Arranger Legacy è incentrato su i5S e i5M, ma l’intera generazione di arranger della serie i merita un cenno di approfondimento, dato il notevole impatto determinato sulla storia delle tastiere arranger. Sin dall’inizio degli anni ’90, Korg dominava il mondo delle workstation grazie all’incredibile successo planetario ottenuto da M1, progetto ideato e condotto dal nostro connazionale Michele Paciulli. La casa giapponese aveva poi fatto evolvere la piattaforma con le posteriori workstation della serie T e, successivamente, con 01/W. Ed è in questa precisa fase storica che un prototipo particolare di 01/W viene consegnato al Voicing Team internazionale di Korg con la richiesta di creare le risorse musicali per un nuovo eco-sistema di accompagnamenti: il prototipo include un modulo software di classe arranger, basato sul sequencer MIDI interno e pilotato dai pulsanti sul pannello riutilizzati diversamente alla bisogna. Il Voicing Team non si lascia sfuggire l’opportunità straordinaria di creare qualcosa di inedito: del resto, siamo di fronte a nomi che faranno la storia degli arranger anche negli anni a venire: Jerry Kovarsky e Geoff Stradling dagli USA, Steve McNally dal Canada, Michael Geisel dalla Germania e Max Tempia (mia fonte principale per le informazioni riportate in questo articolo) dall’Italia. Non va dimenticato Stephen Kay, l’uomo che ha partecipato al progetto ideando un rivoluzionario sistema di riconoscimento degli accordi: ha fatto la differenza rispetto la concorrenza ed è in uso ancora oggi negli arranger attuali di casa Korg. Pensate, per la prima volta, un arranger era in grado di supportare la diteggiatura degli accordi di nona, undicesima e tredicesima. Per la cronaca, Kay è lo stesso che, negli anni successivi, svilupperà Korg Karma.

Gli arranger della serie i sono ispirati a standard di qualità che faranno scuola. Tutte le caratteristiche dello strumento possono essere personalizzabili. Lo stesso stile, composto di 2 Intro, 4 variazioni, 2 Fill-In e 2 Ending, può essere memorizzato in locazioni diverse – dette arrangement – dove impostare specifici timbri da tastiera, volumi, tempo, effetti ed EQ. Le tracce di ciascun accompagnamento sono 6. Ogni pattern può avere fino a sei variazioni diverse (CV1-CV6) in base al tipo di accordo e con una gestione affidabile del basso inverso. Per quanto riguarda il patrimonio degli stili preset, sull’onda del fenomeno iniziato da GEM WS2, gli accompagnamenti di i3 sono prevalentemente costruiti per la riproduzione fedele dei brani famosi a cui sono ispirati. I suoni sono quelli aggressivi che avevano reso celebre Korg, timbri forti per musicisti robusti, abituati a suonare repertori che spaziano dal rock fino alla techno della vecchia scuola.

Korg i3 – Il capostipite

Come i5M e i5S si distanziano da i3

Dopo un esordio così dirompente, sotto la spinta dei distributori nazionali fra cui l’italiana Syncro, Korg aggiusta il tiro con i5M e i5S, introducendo stili più adatti alle sale da ballo. Del resto, è un’epoca in cui molti musicisti si esibiscono nei locali con un repertorio ballabile e tradizionale pressocché ovunque in Europa. Non a caso, i5M capita giusto a fagiolo per i fisarmonicisti, essendo apprezzata per l’equilibrio di timbri proporzionati fra il mondo digitale delle workstation Korg e quello torrido delle discoteche e del liscio. Korg arricchisce i 48 stili già presenti su i3, aggiungendo altri 24 stili con una deriva nazional-popolare fra cui Meneaito, Gipsy, Merengue, Cumbia, Calypso, Lite Bossa, Paso Doble, PartyPolka, Rhumba e TradWaltz.

Korg i5S

Due modelli semplificati

Con l’obiettivo di espandere l’area di mercato per Korg, i giapponesi provvedono a semplificare i nuovi modelli: pur suonando di brutto come il capostipite i3, dal punto di vista dei materiali, i5M/i5S si presentano al cospetto come strumenti più economici. Sono rimossi Mode Sequencer e Mode Program: e dunque non si possono costruire canzoni da registrazioni multitraccia e non si possono editare i suoni. Ma sono conservate le Backing Sequence, utili per costruire song in un amen partendo dagli stili. Inoltre, i due modelli possono leggere Standard MIDI File direttamente dal floppy-disk, senza più richiedere la conversione di formato.

i5M include IC (Interactive Composition), una modalità che genera in automatico gli accordi per gli accompagnamenti interpretando la melodia suonata e tenendo conto delle impostazioni date: in pratica si dichiara allo strumento la tonalità maggiore o minore del brano e se si desiderano armonizzazioni convenzionali di tipo Easy, più evolute General o addirittura Special, con accordi più sofisticati.

Abbiamo visto come la generazione sonora sia la stessa di 01/W e i3: quella AI2 Synthesis che supporta la polifonia di 32 voci. Il sistema operativo è multi-tasking: si possono caricare dati dal floppy disk mentre lo strumento suona. Mi fermo qui e vi rimando all’approfondimento tecnico a cura di Giorgio Marinangeli per la descrizione completa dello strumento.

Il successo del modulo i5M è superiore a quello di i5S e la cosa non stupisce: negli anni ’90 erano molto diffuse le tastiere controller MIDI da cui pilotare moduli rack per generare suoni. Come Korg, anche Roland, GEM, Solton e Yamaha avevano i loro expander. La cosa potrebbe sembrare strana al giorno d’oggi: del resto il fenomeno dei moduli anno dopo anno si è ridotto ormai al lumicino, sin da quando i musicisti più esperti hanno cominciato a portarsi sul palco i suoni VST.

Copertina del CD di brani demo registrati da Max Tempia (1995)

L’eredità della serie i

La serie i evolverà ancora per qualche anno. Dal Giappone arriveranno iX400 e i30. In parallelo, però, a partire dal 1997 in poi, comincia ad essere operativo il nuovo centro R&D e il sito produttivo degli arranger di Korg nelle Marche: il Made in Italy avrà il suo esordio con iS40 creatura programmata da Max Tempia e Francesco Castagna; insieme ai successivi iS50, i40M e iS35, questi modelli faranno il botto di vendite sotto l’egida della neonata Korg Italy.

Gli eredi della serie i sono noti oggi come Professional Arranger (Pa): a seguito del fortunato esordio di Pa80 giungono oggi alla quinta generazione (Pa700, Pa1000, Pa4X) dopo aver raccolto consensi e successi duraturi. Ma se non ci fosse stata la serie i, tutto questo non sarebbe potuto accadere.

Video

Immagino che ora sarete curiosi di vedere i5M da vicino e di ascoltare come suona con le vostre orecchie? Ecco a voi, Marcello Colò!

Marcello Colò dimostra le capacità di Korg i5M