Archivio mensile:Maggio 2016

Torino Synth Meeting 2016 (TSM)

Nella giornata di sabato 28 maggio, mi sono mescolato ai partecipanti della sesta edizione del Torino Synth Meeting e ho inaspettatamente fatto incetta di amici vecchi e nuovi, suoni, esperienze di nuovi strumenti, sprazzi di lezioni di audiologia, contaminazioni diversificate e tanta musica. Devo confessarvi che, da vecchio suonatore di tasti bianchi e di tasti neri, avevo il timore di trovarmi un po’ spaesato in una fiera essenzialmente dedicata ai sintetizzatori intesi come generatori di segnali audio non necessariamente comandati da uno strumento a tastiera. E, invece, con gioia ho trovato che qui c’era spazio per tutte le forme di strumenti musicali elettronici.

I fondatori di questa iniziativa nata nel 2011, Francesco Mulassano e Luca Torasso, possono essere soddisfatti: alla sesta tornata, questo evento rappresenta tutta la propria maturità. Ricordate? Ne avevamo dato notizia anche l’anno scorso. PS: Se vi interessa conoscere la storia di TSM, vi suggerisco questa lettura.

Il posto scelto quest’anno (il Bunker) ci ha proiettati in una struttura aperta in cui confluiscono i resti di un passato industriale con la voglia di miscelare arte e svago. I murales e lo stato di apparente abbandono si innestono in un luogo dedicato allo sport e ai giochi d’acqua e ora il fabbricato sembra dividersi fra luogo di arte, discoteca, struttura per ospitare l’estate-ragazzi e contagi di cultura no-global. Una scelta molto originale.

Protagonisti e visitatori del Torino Synth Meeting 2016

Protagonisti e visitatori del Torino Synth Meeting 2016

Non ho avuto il tempo di visitare gli stand di tutti gli espositori e di partecipare a tutti i seminari organizzati. C’erano tutti i grandi e piccoli nomi e anche qualche sorpresa. Mi soffermo a commentare proprio un paio di quest’ultime. Dapprima l’elegante C15 della tedesca NonLinear Labs (era presente il fondatore Stephan Schmitt in persona) che propone di azzerare vent’anni di storia di workstation per riportare lo strumento digitale a tastiera alle proprie origini per cui era nato: suonare in tempo reale con bei suoni a disposizione in un elegante scocca in legno (made in Italy by Simone Fabbri); il progetto è in evoluzione, sarà apprezzato dai musicisti che amano suonare con le proprie mani e mi ha colpito il fatto che non fosse prevista nessuna interazione MIDI, solo wifi. E poi ho notato che molti si soffermavano presso lo stand del giapponese Nori Ubukata che offriva una valida dimostrazione della declinazione francese del theremin: Theresyn.

Passando ai seminari, ho seguito la dimostrazione di Roland Aira svolta da Marco Rebollini dei Metrophonique. Nella sala ci siamo tutti ammutoliti quando si è presentato Enrico Cosimi che ha dedicato il proprio intervento alla produzione italiana di GRP Synthetizer: non è stata soltanto la presentazione di un prodotto, ma un’autentica e ampia lezione di carattere accademico. Ho seguito con particolare interesse, forse perché qui più ci si avvicinava ai miei territori, il momento in cui Manuele Montesanti ha presentato Montage, il nuovo sintetizzatore di casa Yamaha che ho apprezzato per la forza esplosiva dei nuovi convertitori audio e per i campioni di pianoforte CFX e Boesendorf, per tutti i campioni principali di piani elettrici, organi e violini. Fra i tanti protagonisti che affollavano il Bunker ho anche intravisto Davide Di Leo (Boosta dei Subsonica) che si è reso disponibile al confronto con i visitatori dell’evento a fine giornata, segno ulteriore del prestigio raggiunto dal Torino Synth Meeting.

Per il sottoscritto, è stata anche l’occasione per incontrare amici appassionati di strumenti musicali e professionisti del settore, fra cui il mitico Riccardo Gerbi che ha lasciato una traccia video dell’evento. Eccolo qua sotto, per voi: il Torino Synth Meeting 2016 in 180 secondi.

Yamaha MusicSoft si rinnova

Yamaha MusicSoft rinnova la propria immagine
Yamaha MusicSoft rinnova la propria immagine

La vita del web è una storia di continui rinnovamenti. E una regola classica del marketing recita che, quando un’iniziativa commerciale ristagna, è giunto il momento di ammodernare l’insegna, aggiornare la facciata e rivedere gli spazi interni del negozio per stimolare nuovamente la curiosità della clientela.

Parto da queste osservazioni convenzionali, per segnalarvi quanto è successo il 16 maggio scorso, quando Yamaha ha rinnovato il portale internazionale di e-commerce dedicato alla comunità di utilizzatori di strumenti digitali, dove una particolare attenzione è sempre stata riservata ai possessori di arranger della serie Tyros, PSR e Clavinova. Il precedente aggiornamento di quella piattaforma risale al 2012: lo avevamo commentato insieme in questo articolo. Questo servizio web è sempre gestito da Yamaha USA e il servizio di assistenza telefonico è in lingua inglese. Se eravate iscritti al precedente portale, la vostra registrazione è ancora valida anche se potrebbe accadere – come nel mio caso specifico – di non ritrovare più la storia degli strumenti Yamaha precedentemente registrati a proprio nome e non vi si dà la possibilità di registrarli di nuovo (immagino sia un errore di gioventù della nuova piattaforma e sarà sistemata).

Potete selezionare la lingua italiana per navigare con comodità in tutto il sito con l’eccezione delle pagine del blog dove però è presente un pulsante che le traduce in automatico su richiesta sfruttando il traduttore web: la traduzione automatica non è sempre chiara e intellegibile per definizione ed è un peccato perché là sono presenti numerosi articoli, la cui lettura è vivamente consigliata a tutti i suonatori di arranger Yamaha.

La vostra navigazione su tutto il sito potrebbe avvenire in modo empirico (cioè: provate da voi e fate clic qua e là in base ai vostri interessi) oppure secondo una pratica più organizzata seguendo le istruzioni di viaggio. Esiste ancora una terza diversa possibilità: visitate il canale dedicato su YouTube e guardatevi alcuni fra i numerosi filmati video dedicati alle risorse in vendita su Yamaha MusicSoft. Fate Vobis insomma

Spartiti e MIDI file

Nella funzionalità “Scopri”, potete inserire il titolo di una canzone e trovare le basi MIDI (fonte Yamaha MIDI Songs, MIDI Spot) e gli spartiti PDF stampabili (fonte prevalente Hal Leonard). Tenete d’occhio le basi Premium MIDI Songs: hanno il testo e gli accordi MIDI inclusi nel MIDI file. Nel caso poi degli spartiti interattivi (MusicSheet) potete anche vedere la prima pagina dello spartito e ascoltarla con i suoni MIDI del vostro PC, tablet o dispositivo mobile: oltre alla riproduzione e alla trasposizione, potete regolare il tempo e cambiare il livello di dimensioni/zoom della vostra musica. Una volta acquistato, è possibile utilizzare lo spartito interattivo online come un aiuto per l’apprendimento 0 per riprodurre il brano. Per ogni canzone di successo, avete diverse scelte di edizioni dello stesso partito e selezionate quella che più vi si addice. Ad esempio le partiture EasyPiano sono ideali per chi non è diplomato al conservatorio e vuole comunque imparare a suonare facendo ricorso ad una versione semplificata (ma comunque coerente) del brano originale. Il repertorio di brani è in continua espansione: verificati da voi gli ultimi arrivi.

Custom Audio Track

E poi ci sono le basi audio personalizzabili. Ne avevamo già parlato qui in questo blog, se ricordate. Trattasi di basi audio MP3 multi-traccia: il mixer audio personalizzato vi consente di miscelare i vostri brani preferiti durante le sessioni di pratica. Potete controllare il volume di ogni traccia: togliere il canto originale e cantarci sopra, togliere le parti di pianoforte e suonarle voi, qualsiasi altra parte. È possibile rifare un mix personalizzato di una canzone famosa, cambiando tutti i volumi, eliminando parti e aggiungendone altre. Il mix finale può essere portato su qualsiasi lettore MP3 (PC, tablet e così via, compreso il vostro arranger) per le vostre esibizioni dal vivo. Se la cosa vi può interessare, sfogliate il catalogo completo.

Mixer audio per le basi audio multi traccia
Mixer audio per le basi audio multi traccia

Pacchetti Premium e stili

Questa è la sezione più importante di MusicSoft in cui possiamo trovare le risorse più interessanti e preziose per i suonatori di arranger Yamaha: i pacchetti di espansione di voci e stili oppure semplici collezioni di stili. Ne abbiamo parlato ampiamente in passato in questo blog e quindi vi rimando a quegli articoli per i dettagli. Una capatina in questo sito ogni tanto vi consentirà di tenere sotto controllo la pubblicazione di eventuali novità.

Selezionate le risorse compatibili per strumento musicale

L’aspetto più rassicurante di YamahaMusicSoft è la possibilità di filtrare qualsiasi risorsa per strumento musicale di destinazione. In questo modo siete sicuri al 100% che il vostro acquisto, qualunque esso sia, possa “suonare” a dovere secondo le vostre attese. Non dimenticate quindi di attivare il filtro per strumento prima di cominciare la vostra caccia.

E i prezzi?

I brani MIDI sono acquistabili al prezzo che oscilla intorno ai 3,50 Euro, le basi audio multi traccia si trovano a 4,99 Euro, i pacchetti di espansione stili e voci hanno prezzi svariati che partono dai 22 Euro e arrivano fino a 179 Euro, dipende. Gli stili singoli partono dai 4,99 Euro mentre le collezioni possono arrivare a 49,99 Euro.

Max Tempia, toro scatenato nella comunità degli arranger (parte 3 di 3)

Siamo arrivati alla terza e ultima parte dell’intervista che Max Tempia ha concesso ai lettori di tastiere.wordpress.com. Quanti di voi si sono persi le prime due parti possono leggerle qui: prima e seconda parte. Buona lettura!

Re’: Max, dagli anni novanta ad oggi, è cambiato radicalmente il mondo delle tastiere digitali.

Max: Sono arrivati nuovi attori, uno su tutti: Nord. Ha sbaragliato le carte in tavola. Quando tutti cercavano di stupire il pubblico con effetti speciali, con l’uso dell’audio e di altri gingilli, è arrivata Nord con una tastiera tipica da anni ottanta che faceva solo il pianoforte acustico, il piano elettrico, il Clavinet e l’organo. Stop. E lì sono stati azzerati tutti gli anni novanta e siamo ripartiti. In realtà, è sul piano musicale generale che c’è stato un grande cambiamento. E quindi una rivoluzione nel modo di intendere il fare musica. Fino agli anni 90, le tastiera facevano un po’ di tutto perché si andava a suonare da soli, c’era il piano bar, c’era il karaoke. Poi sono tornati i gruppi, le chitarre, le batterie e i bassi. E quindi una band non aveva più bisogno di un tastierista che avesse dentro i suoni di quegli strumenti: aveva bisogno di una tastiera che avesse i classici strumenti del rock: piano e organo. E questo le grandi case di strumenti musicali non l’hanno capito subito. Erano troppo impegnati a studiare cose diverse e hanno patito il momento. E’ arrivata bella bella Nord con l’Electro 61 a 1400 Euro. Tastiera compatta portatile: dal punto di vista qualitativo non aveva una tecnologia innovativa, anzi usava una tecnologia in disuso. Ma suonava bene: suonavi il pianoforte ed era bello, provavi il piano elettrico e andava bene, suonavi l’organo ed era a posto. Forse, ogni suono in sé non era il migliore del mondo, ma non importava perché lo strumento – nella sua globalità – funzionava. Questo ha cambiato le carte in tavola. I grandi hanno dovuto ripensare tutto (sorride). Il problema è che probabilmente devono ancora capirlo adesso, perché sono tutti ancora lì: alla ricerca. Sì, negli ultimi anni c’è stato un grande ritorno dei sinth analogici, i cui prezzi in discesa hanno consentito l’accesso ad una ampia platea. Però siamo ancora fermi che aspettiamo il miracolo. E il miracolo però… non avviene.

Re’: Qual è la posizione di Casio in questo quadro generale?

Max: Negli ultimi anni, il mercato di Casio nelle tastiere è cambiato soprattutto grazie ai pianoforti digitali e, ora, con il lancio di Grand Hybrid. E’ invece ancora lontana sul piano delle tastiere con accompagnamenti, perché lì Casio non ha la storia di Roland, di Yamaha e di Korg. Per questi produttori di strumenti musicali è molto più facile realizzare tastiere economiche come Pa600 e le PSR, perché vanno ad attingere al materiale realizzato in passato per tastiere di grande successo. Casio invece deve fare tutto da capo. Al contrario di Roland che invece sembra avere smesso: purtroppo è rimasto poco di Roland nel comparto degli arranger, come BK-9 gran bel prodotto, ma ha cessato la produzione in Italia e si dice abbiano ricominciato a fare in Cina. Ma Roland ha la storia dalla sua e sulla carta sarebbe avvantaggiata, mentre Casio ha solo una esperienza con le tastierine portatili: ma quello è tutto un altro tipo di mercato.

Max Tempia presenta i pianoforti digitali Casio

Max Tempia presenta i pianoforti digitali Casio

Re’: Dimmi di più di questa buona stagione i pianoforti digitali.

Max: I pianoforti digitali hanno avuto questa grande impennata di vendite soprattutto grazie a Casio che con la serie CDP ha portato il pianoforte digitale a tutti. CDP-100 è un pianoforte leggero di 11kg con una buona tastiera affidabile con quattro suoni ad un prezzo popolare. I numeri delle vendite di Casio sono impressionanti. E’ non è banale che io sia andato in Casio, a parte che avevo degli amici che già ci lavoravano e mi hanno tirato dentro, però era l’unica azienda che in quel momento in qualche modo aveva le possibilità di riscrivere qualcosa, qualcosa di importante negli strumenti musicali. L’ha fatto prima con PX5 e con Grand Hybrid oggi. Hanno fatto un lavoro bellissimo perché si sono mossi trasversalmente, al contrario di tutta la concorrenza. Per gli strumenti elettronici, lo strumento definitivo non esiste e non potrà esistere ancora per lungo tempo. Casio lo sa bene ed è andata per vie diverse. Quando tutti pensavano che tutto si potesse fare con un modello a tre sensori (e che Casio ha nei modelli da 500 Euro) si presenta con una tastiera capace di 16.000 e oltre punti di dinamica che il General MIDI certifica e approva per il GM livello 2. In realtà, sono due controlli messi insieme che fanno moltiplicare in modo esponenziale un controllo del velocity l’uno sull’altro. E quindi tutto sommato è la solita genialata alla Casio, nessuno ci aveva pensato prima.

Re’: E dell’accordo con i tedeschi di Bechstein che cosa ci puoi raccontare?

Max: L’accordo con Bechstein consente a Casio di disporre ora di una strepitosa tastiera di legno. Quando ti siedi davanti a questo strumento non riesci più a staccare. C’è qualcosa che ti trattiene lì. Un buon suono, una valida tastiera, una bella spazialità nel suono, un bel feeling fra la tastiera e la curva di dinamica, insomma qualcosa che ti rapisce. Quando accendi lo strumento e metti le mani sui tasti del piano, ti si accende la tua curiosità. E quello è solo il primo passo. Grand Hybrid ci riesce perché c’è una sintonia straordinaria fra la tastiera fisica e il suono. Riesci a domare questo strumento come su un pianoforte acustico tradizionale. Anche i concorrenti hanno dovuto ammettere che Casio ha fatto un bel lavoro. Come era già successo con PX-5, un’altra bella macchina.

Max Tempia presenta il nuovo Casio Grand Hybrid

Max Tempia presenta il nuovo Casio Grand Hybrid

Re’: Che cosa ci riserva il futuro prossimo degli arranger Casio?

Max: Quest’anno Casio è uscita con due nuove tastiere (NDR: MZ-X300 e MZ-X500), sono in realtà due workstation con sequencer, editing dei suoni e anche accompagnamenti. Sono prodotti a basso costo con un touch screen, un segnale importante per Casio per strumenti sotto il migliaio di Euro. Casio è come Ferrari: si costruisce tutto in casa, tecnologicamente è attrezzato per progettare e costruire le tecnologie più avanzate.

Re’: Dalle tue parole emerge uno scenario per me inaspettato sulle prospettive di Casio in merito agli strumenti musicali.

Max: Devo dirti che Casio è l’azienda più in movimento nel settore, la più irrequieta. E’ l’unica che potrebbe ancora fare qualcosa di innovativo per unire la workstation con la tastiera con gli accompagnamenti. Non l’ha ancora fatto. Ma il futuro più credibile vede l’unione della workstation intesa come gestore di grandi suoni e una sezione di accompagnamenti che possa in qualche modo venire in soccorso di quel musicista che può suonare lo strumento, senza doversi portare dietro computer o tablet. Ma è altrettanto evidente che non siamo ancora pronti. Sul mercato esiste la workstation con l’arpeggiatore e l’arranger che ha i campioni. Due strumenti che non sono più ne carne né pesce. Quei due mondi stanno per finire. Sta per arrivare qualcosa di nuovo: questi due mondi devono trovare un nuovo equilibrio. E Casio ha in mano tutti gli argomenti, come li hanno le altre case. L’argomento finale è: che cosa farai uscire? C’è spazio per lanciare qualcosa di nuovo che possa servire ai musicisti in tutto il mondo.

Re’: Grazie Max! Resterei ad ascoltarti per giornate intere.

Max: Grazie a te Renato e un caro saluto a tutti i lettori del tuo blog. A presto!

PS: La partita in campo non è finita bene come ci aspettavamo. Ma, a parte il risultato calcistico (pazienza, noi granata siamo abituati a soffrire), è stata una bellissima giornata, trascorsa discorrendo su tastiere e arranger. Troppo forte.

 

 

Max Tempia, toro scatenato nella comunità degli arranger (parte 2 di 3)

Coloro che si sono persi la prima parte dell’intervista a Max Tempia possono leggerla qui. Oggi continuiamo il resoconto con la seconda frazione. Nei prossimi giorni seguirà la terza e conclusiva parte di questo racconto.

Re’: Max, raccontami di come e quando nasce Korg Italy.

Max: C’era questo grande progetto in piedi lanciato da Jürgen Schmitz e Francesco Castagna: stava per arrivare Pa80. La prima tastiera studiata e realizzata completamente in Italia e parte col botto avendo ereditato la generazione dei suoni del Triton. Pensa, aveva persino un registratore digitale a 4 tracce, ma non era accessibile da pannello. Pa80 era multi-tasking e questo per Korg ha rappresentato una innovazione importante: se non avevi il multi-tasking non avevi niente, dovevi suonare mentre caricavi altre cose. C’era il doppio sequencer. Era una gran bella macchina per quei tempi. Certo se la provi oggi, puoi notare il distacco dalla tecnologia attuale: ma a quei tempi, non c’era proprio nulla da dire.

Max Tempia presenta Korg Pa80 nel 2000

Max Tempia presenta gli arranger Korg nei primi anni duemila

Re’: I materiali erano meno nobili rispetto i3 e i30.

Max: Plastica. Stampo e plastica. E’ vero, qualcuno storceva il naso; però pesava di meno e, soprattutto, suonava meglio. Pa80 ha venduto tantissimo. Ha avuto un successo unico, straordinario e senza confini. Tu non ti puoi immaginare le vendite che la giapponese Korg ha realizzato grazie a quell’arranger Made In Italy. A realizzare gli stili, oltre al me, c’erano Gabriele Pavani di Pordenone (che si occupava di dance e liscio, che connubio, vero?) e poi gli stessi del Voicing Team internazionale con altri musicisti occasionali che trovavo in giro. La maggior parte del repertorio era destinata al mondo tedesco ed italiano. Un mercato in grande crescita era quello spagnolo: mi occupavo io di quegli stili, dato che ero anche il dimostratore Korg ufficiale per la Spagna. Abbiamo creato anche gli stili mediorientali che ci ha aperto le porte di continenti nuovi: ad essere onesti, non eravamo stati i primi, GeneralMusic già faceva stili per quel mondo prima ancora di Korg. Io ero il responsabile del repertorio completo degli style: il checkup finale della macchina era tutto sulle mie spalle. Ci ho lavorato parecchio.

Re’: In effetti gli arranger Korg erano rinomati rispetto la concorrenza per l’affidabilità del software e degli stili.

Max: Il collaudo finale era fondamentale. Eravamo in tanti e facevamo un gran lavoro. Anche le altre case avevano un Voicing Team internazionale. Del resto, il primo era stato quello di Roland: da lì era partito tutto. Ora questi team creativi sono scomparsi: le aziende hanno cambiato direzione. Oggi quello stile di lavoro creativo di gruppo si è un po’ perso. Ma, tornando a Pa80, erano numerose le innovazioni tecnologiche: pensa montava un disco a stato solido SSD che oggi è molto diffuso ma, in quegli anni rappresentava una grande novità.

Re’: Pa80 è poi evoluta in Pa1X con cui Korg è tornata a produrre arranger con una scocca robusta e tasti semi-pesati. andando ad accontentare i nostalgici di i3 e i30.

Max: Sì, abbiamo continuato a lungo sulla strada dell’innovazione. Pa1X è stato un importante passo in avanti che però ha raggiunto la pienezza con la generazione successiva, quella piattaforma comune fra Pa2X e Pa800 con cui Korg ha raggiunto il vertice di crescita nella propria storia di produttore di arranger. Quel progetto è ancora credibile oggi, a distanza di molti anni: e non è per nulla sorprendente il vasto numero di musicisti che ancora oggi si esibiscono e si guadagnano la vita suonando Pa800. Credo che, da allora, Korg sta di fatto lavorando di cesello e precisione per migliorare quella piattaforma, ma la base è sempre quello stesso progetto.

Re’: La tua storia con Korg è stata bellissima: ma come tante belle storie anche questa ha avuto la sua fine.

Max: Vedi, dopo tanti successi con Korg, c’è stato un periodo di cambiamento. Le tastiere con accompagnamenti non garantivano più le vendite di prima. E’ cambiato il distributore nazionale: da Syncro siamo passati ad Eko. Molti equilibri sono andati a cambiare. C’è stato un raffreddamento generale dei centri R&D in Italia. Chi l’ha smantellato, chi ha spostato tutto in Germania ad Amburgo. Anche Korg Italy ha perso progressivamente il peso che aveva avuto in quegli anni. Non solo gli arranger ma anche le worstation hanno cambiato fisionomia. A dire il vero, la mia conoscenza con Casio risaliva a molti anni prima, alla presentazione del primo pianoforte Celviano: avendo Casio lo stesso distributore nazionale di Korg, cioè Videosuono, fui chiamato a presentare il primo Celviano. Devi sapere che Casio aveva già il sistema per togliere il canto la parte centrale agendo sulle fasi di un base audio. E poi Casio aveva creato una spettacolare chitarra MIDI e anche il sax MIDI con l’altoparlante sulla campana, la batteria con i pad. In quegli anni, potevi confrontarti con tutte le aziende concorrenti, ma non potevi fare il nome di Casio: tremavano i muri. Casio aveva già allora una forza tecnologica impressionante. Erano già presenti nella micro-circuitazione, esperienza fatta su calcolatrici e orologi e che poteva essere adottata ora sugli strumenti musicali. Non è un caso che il primo campionatore è stato fatto da Casio. La storia della chitarra MIDI era emblematica: era un’ottima chitarra di liuteria e questo la dice lunga. A differenza della chitarra e dei pickup di Roland, Casio aveva molto meno ritardo e aveva un synth interno. Non ti nascondo che, molti anni prima, per programmare molti stili della Korg i3, io ho utilizzato quella chitarra lì. Poi certo, dovevi fare grandi pulizie dei messaggi MIDI, perché nella registrazione ti tirava dentro di tutto. Ma, ragazzi, erano i primi anni novanta! Non è insolito per me osservare come in Casio si stanno ritrovando molti personaggi dei grandi Voicing Team: sarà per un caso fortuito, ma io come Jerry Kovarsky, Mike Martin, Cristian Terzi, Nicolas Vella, Ralph Matten stiamo dando indicazioni a Casio e da un po’ di tempo. Non è ancora una storia strutturata: ci stiamo autoalimentando, ci stiamo preparando al futuro.

(Continua prossimamente)

Max e Paola, prima dell'intervista e prima della partita allo stadio Grande Torino

Max e Paola, prima dell’intervista e prima della partita allo stadio Grande Torino

Max Tempia, toro scatenato nella comunità degli arranger (parte 1 di 3)

Max Tempia: intervista allo stadio Grande Torino

Max Tempia: intervista allo stadio Grande Torino

Un comune e noto amico, Riccardo Gerbi, e una comune passione sportiva per i colori granata (NDR: mi perdoneranno per una volta i lettori sostenitori di altre squadre di calcio per questa contaminazione su un blog universalmente aperto alla musica) hanno prodotto per me un inaspettato incontro in cui ho avuto l’occasione di conversare a lungo sulle tastiere arranger con Max Tempia, uno dei più importanti musicisti che ha contributo allo sviluppo di numerose tastiere con accompagnamenti, prima in casa Korg e poi presso Casio. Come potrete leggere da voi, il resoconto della conversazione contiene un sacco di aspetti interessanti per la materia a cui è dedicato questo blog e spalanca davanti a noi uno spaccato sincero sulla storia di questo comparto di strumenti musicali. L’esperienza e le conoscenze di Max sono un patrimonio importante e sono contento di raccontarvi tutto qui nel nostro blog. L’intervista è così ricca che ho dovuto selezionare una sola parte degli argomenti e, nonostante ciò, è talmente lunga che ho previsto di pubblicarla “a puntate”, al fine di agevolare la vostra più snella lettura sul web.

Cominciamo oggi con la prima parte. Siamo nel palco dell’ospitalità del Torino FC. Lo confesso: la situazione è lievemente surreale, ma Max ha un carattere estroverso e si rende disponibile a tutte le mie curiosità. Mentre Paola, la sua gentile compagna, ci segue con ammirevole pazienza. E noi partiamo a raffica con domande e risposte .

Re’: Max, sei stato testimone e protagonista della storia degli arranger Korg. Da dove è cominciato tutto?

Max: Siamo all’inizio degli anni novanta. Da oltre un decennio Korg non produceva più arranger. In quegli anni, dominava il mercato Roland con E70, uno strumento che ha vissuto una larga diffusione. In quel momento storico, Korg decide di rientrare nel mondo degli arranger. A quei tempi, in Korg c’era il leggendario Voicing Team fatto di importanti musicisti provenienti da tutto il mondo: il mitico Jerry Kovarsky dagli USA che, fino al giorno in cui ha deciso di abbandonare per ritirarsi alle Hawaii, ha guidato i grandi progetti delle storiche workstation Korg. Dall’Italia c’ero io che mi occupavo degli style, Michele Paciulli che si occupava dei suoni. E sì, perché gli stessi suoni che si facevano per i synth poi si passavano agli arranger. C’era il canadese Steve McNally, il tedesco Michael Geisel, da Los Angeles Geoff Stradling, un pianista straordinario. A quei tempi Francoforte era la fiera più importante dell’anno ci si trovava tutti lì e si organizzavano i meeting successivi.

Re’: E come è successo che sei finito dentro questa grande esperienza?

Max: Io già lavoravo in televisione con l’orchestra nelle trasmissioni di Gianfranco Funari. E poi avevo iniziato la collaborazione per le attività di pre-vendita e post-vendita con Videosuono, il distributore nazionale dei prodotti Korg. Ed è così che sono finito a lavorare con il centro R&D di ricerca e sviluppo. E poi quando il direttore commerciale Fulvio Pesenti ha lasciato Milano e Videosuono per passare a Numana (Ancora) e dirigere Syncro il nuovo distributore Korg, pian piano siamo tutti passati nella nuova azienda. E così ho fatto anch’io.

Re’: Ma c’è stato un momento in cui vi siete seduti intorno ad un tavolo e avete pensato di realizzare il capostipite dei nuovi arranger Korg, voglio dire il mitico i3?

Max: Ma no, è successo tutto in modo naturale. La qualità delle persone del Voicing Team era straordinaria e non poteva essere diversamente. i3 in sé e per sé non era un modello sconvolgente, ma ha cambiato le carte in tavola, soprattutto alla luce di quello che è successo dopo. Siamo nel periodo del post M1, quello strumento che ha creato un nuovo modo di pensare e di concepire le tastiere, grazie all’intuizione di Michele Paciulli: lui in persona ha dato il LA al concetto di workstation. Dunque i3 aveva in sé un grande patrimonio di suoni: quel modello di arranger nasce in Giappone nel 1992 con il Voicing Team internazionale. La generazione dei suoni era fondamentalmente quella della workstation Korg 01/W che avevano appena rivisto la luce nella declinazione di X3. Le capacità di quegli anni erano ridicole se confrontate ad oggi, si parlava di MB e non di GB. C’erano 32 stili e 4 memorie user. Però, quando tutti gli altri arranger avevano due variazioni, un Intro, un Ending e il riconoscimento degli accordi arrivava al massimo fino alla diminuita, arriviamo noi con due Intro, due Ending e quattro variazioni: e ogni variazione aveva sei Chord Variation. E poi lo strumento disponeva di sei tracce per gli accompagnamenti. E sì perché Korg aveva pensato di usare il sequencer per pilotare la sezione arranger. E infatti, il primo prototipo, che ho avuto fra le mani per preparare gli stili, era di fatto un Korg 01/W che, caricando un sistema operativo fatto su misura, attivava la modalità arranger al posto del sequencer. Ed era così che provavi gli accompagnamenti. Non so nemmeno dove sia finito quel prototipo. Che epoca! Oggi ti danno un software e lavori su computer: a quei tempi c’era ancora Notator sull’Atari e ti dovevi arrangiare.

Re’: Io personalmente avevo vissuto nel 1994 l’esperienza di cliente Roland E70 che passava a Korg i3. Oltre all’introduzione di un sequencer con la capacità di modificare tutti gli eventi MIDI, la grande novità per me era stata la possibilità di intervenire sui suoni. Su E70 i suoni erano pronti all’uso con gli effetti giusti, ma non li potevi toccare; su Korg i3 invece potevi personalizzare tutti i parametri delle singole voci. E del riconoscimento degli accordi, che mi dici?

Max:  Ah, fantastico. Stephen Kay aveva inventato un algoritmo innovativo per riconoscere gli accordi su i3. Era lo stesso che Korg avrebbe poi introdotto su iH, l’armonizzatore vocale. Il modo classico di riconoscere gli accordi era quello di cercare l’accordo in una tabella di Database. Ma aveva dei limiti. L’algoritmo di Steven era stato costruito per ragionare inizialmente in termini di note. Cerco di spiegami con un esempio: immaginiamo di essere in Do per farla semplice. Premiamo Do-Mi-Sol-Si e l’algoritmo individua un accordo di Do7+. Partiamo proprio da qui. Succede che se vai a suonare sulla tastiera un Do minore , l’algoritmo va a spostare il Mi in Mib e il Si sale a Do e da queste note va a pilotare l’accompagnamento automatico. Se invece suoni una settima, Di-Mi-Sol rimangono e il Si sale a un Sib. Se vai a suonare un accordo di settima/nona, Do-Mi-Sol-Sib, l’algoritmo va a prendere una quinta nota che è il Re. E, in questo modo, grazie all’aggiunta della quinta nota, è possibile fare di tutto. Ad esempio, prendiamo un accordo abbastanza complesso: Do settima nona diesis. Il Do-Mi-Sib-Mib: l’algoritmo allora cosa fa? Il Do rimane Do, Mi rimane Mi, il Sib è la settima che scende e, non essendoci la quinta, quella che doveva essere la nona prima cioè il Re questa passa al Re Diesis. Il risultato di fatto era una roba allucinante che non aveva nessun altro. Vedi, prima di Stephen Kay, le cose difficili da fare erano le discese: prendi per esempio Senza Luce con il basso che scende Do, Si, La, eccetera. Invece per noi in Korg con il basso inverso ti sleghi dall’accordo, ti potevi tenere il Do maggiore e suonare il basso per conto suo, come da spartito. Allucinante per quei tempi. Un altro esempio: prendiamo Brazil con la quinta più che gira: Sol-Sol diesis-La-Sol diesis-Sol. Suonavi Do-Mi-Sol per confermare l’accordo e poi facevi girare solo la quinta. Non essendo basato su rigide tabelle, avevi le vere note che pilotavano l’accompagnamento ed era possibile ottenere un effetto veramente musicale.

Re’: E’ stata un’innovazione epocale nel mondo del riconoscimento degli accordi.

Max: In termini di velocità, pur con tutti i limiti delle prestazioni di allora, il risultato era un tempo di risposta superiore alla concorrenza, perché non era più necessario andare a leggere una tabella di accordi, ma era sufficiente leggere quattro note per generare un accompagnamento. Se proviamo adesso una i3, ci scappa da ridere per il ritardo.  Ma tieni a mente che quello strumento era uscito sul mercato nel 1993!

Un giovane Max Tempia ai tempi in cui collaborava con Korg

Un giovane Max Tempia ai tempi in cui collaborava con Korg

Re’: Dove programmavi gli stili?

Max: Io programmavo gli stili fuori, usavo Notator su Atari, perché aveva già una divisione delle parti in pattern, in modo orizzontale. Potevi portare le sequenze preparate sul sequencer sullo strumento e poi smanettare sull’arranger per renderli perfetti. L’unica difficoltà era che questi benedetti stili non li potevi programmare in Do maggiore perché ti mancava la quarta nota: li dovevi programmare in Do7+. Durante la creazione di un style, eri tenuto per forza ad immaginare musicalmente dove sarebbe potuto andare lo strumento. E poi passavi ore a collaudarli. E poi una cosa che non aveva nessuno a quei tempi era la conversione dei MIDI file in uno stile. Potevi prendere le basi MIDI già fatte, isolavi un segmento del brano fino a 16 misure, in un sequencer portavi le note a riprodurre un accordo di 7+ e avevi bella pronta una Variation di uno stile.

Re’: Ricordo uno stile rock così accurato e così pieno di strumenti: sembrava di suonare dal vivo con Keith Richard in persona e tutti gli Stones.

Max: I suoni di quella tastiera erano duri e spigolosi: a confronto, le altre tastiere sembravano avere suoni finti. Qui batterie e chitarre spaccavano di brutto: le potevi usare per suonare il rock senza paura. Però poi i clienti si lamentavano e ci dicevano: “Ma noi abbiamo bisogno di suonare il valzerino!”. Per la prima volta nella storia, Korg aveva inventato quello che io chiamavo il Circo Equestre, gli stili che suonavano da soli. Quelli che poi però passarono di moda negli anni a seguire. In quegli anni, sembrava essere fondamentale realizzare stili con i fuochi d’artificio, con gli Intro che richiamavano gli arrangiamenti originali delle specifiche canzoni a cui era stato ispirato lo stile. La domanda del mercato era quella: dare ai musicisti stili verticali capaci di riprodurre con fedeltà un brano preciso.

Re’: Io onestamente non li ho mai amati a fondo quegli stili, quelli che oggi sono noti con il nome di Song Style: stili disegnati per funzionare con una sola canzone. Sì, sono comodi quando fai le serate, ma ho sempre trovato più stimolante lavorare con stili di accompagnamento più orizzontali e quindi più flessibili, quelli che ti consentono di metterci del tuo.

Max: E’ così, però devi ricordare che venivamo da un’epoca in cui gli stili della concorrenza erano abbastanza elementari: erano fatti di quattro elementi in croce. In quella tastiera, invece disponevi di sei tracce: due percussioni, il basso e tre accompagnamenti. E poi riconoscevano i comandi MIDI di Program Change e di Control Change, per cui avevi il dominio totale su tutte le variazioni. E poi c’erano gli effetti separati per ogni traccia. E ancora le Intro si comportavano in modo diverso. Ogni stile aveva un’introduzione da usare così come era fatta, ma ne aveva un’altra che era capace di seguire i cambi degli accordi. Era davvero divertente.

Re’: E dopo?

Max: A pensarci ora, i3 era stata la prima e avevamo avuto carta bianca per dare spazio alla massima creatività; e dopo i30 (aveva il touch screen e altre innovazioni) la tendenza è cambiata e ci siamo avvicinati al mercato più tradizionale. C’è stata i4S con amplificazione, pesava un sacco. i5S era una tastiera orribile, di plastica e non per ragioni di risparmio. Nasce i5M e, nello stesso periodo, iH, l’aggeggio vocale per i cori. Tutte tastiere Made in Japan. Il centro R&D in Italia inizia ufficiosamente con la programmazione di i40S, tastiera amplificata con il generatore dei suoni di Triton. Tutto arrivava dal Giappone, noi siamo intervenuti con qualche editing e realizzando tutti gli style. Abbiamo fatto, secondo me, un bel lavoro. Anche quella è stata una bella svolta perché abbiamo introdotto sedici memorie per gli stili utente, mentre prima ce n’erano solo quattro. Il pacchetto degli stili è passato da 48 a oltre 100. Dimenticavo, per la prima volta, abbiamo utilizzato la tastiera della Fatar e non più Yamaha, com’era stata tradizione di Korg fino ad allora.

(Continua qui)

Scott Bradlee alza il sipario sul presente e sul futuro degli arranger

Scott Bradlee con Robyn Adele Anderson

Scott Bradlee con Robyn Adele Anderson

A volte nei miei scritti pubblicati in questo blog, mi interrogo su quale possa essere il futuro delle tastiere arranger e se ancora possano averne uno, visto il dinamismo irrequieto con cui si muove la tecnologia digitale. Poi, nei giorni scorsi, càpito per caso sul filmato video di Scott Bradlee (guardatelo qui sotto!) e ho l’intuizione: eccolo qui il presente e il futuro degli arranger. Non è questione di tecnologia. Siamo noi. Siamo noi essere umani. Siamo noi musicisti. In particolare siamo noi, quando ci prendiamo cura di noi stessi e ci dedichiamo allo studio della musica, quando ci esercitiamo a fondo su una partitura e non ci accontentiamo del risultato facile. E insistiamo, provando fino a quando non ne ne esce un’esibizione convincente (a proposito se qualcuno di voi non ha ancora visto il film Whiplash, è tempo di recuperare e di farlo il più presto).

Ed è comunque qui che nasce il concetto autentico di arranger. E’ in ciascuno di noi. Perché di fatto, noi non dipendiamo dagli stili preset di una tastiera di accompagnamenti automatici: in ciascuno di noi, il repertorio di stili possibili è illimitato, la tavolozza sonora ha i limiti dovuti solo allo strumento che ci capita sottomano in quel momento. Scott Bradlee ce ne dà una dimostrazione e, solo casualmente, nel filmato si esibisce con un pianoforte digitale Nord Stage. Il bello è che potrebbe utilizzare qualsiasi tastiera, qualsiasi pianoforte digitale o acustico, di qualsiasi marca.

In questa dimostrazione, possiamo verificare soltanto 26 stili e sono tutti suonati sulla stessa canzone: la ninna nanna più scontata del mondo anglosassone: Twinkle Twinke Little Star.  Sono 26 arrangiamenti che raccontano in una manciata di minuti la storia di un secolo di musica. Vi consiglio la visione: per favore, se non lo avete ancora visto, dedicate ora cinque minuti della vostra vita a questo filmato e riconciliatevi con la musica “suonata con le mani”.

Per la cronaca, ecco i nomi degli style che l’arranger oggi ci dimostra:

  • Waltz
  • Ragtime
  • Charleston
  • Boogie Woogie
  • Swing
  • Bossa Nova
  • Doo Wop
  • RocknRoll
  • British Rock
  • Country&Western
  • Psychedlic Rock
  • Motown
  • Funk
  • Disco
  • Singer/Songwriter
  • Reggae
  • New Wave
  • Hard Rock
  • Grunge
  • Gangsta Rap
  • Techno
  • Pop Funk
  • Modern Alt Rock
  • Reggeton
  • Dubstep
  • Modern Dance Pop

L’avete visto tutto fino alla fine? Bene, ora fermatevi un momento. E pensate a quando vi interrogate sul perché non siete soddisfatti di suonare il vostro arranger attuale. Chiedetevi anche: siete sicuri che il problema sia nello strumento in sé? Magari non è sempre così. A volte siete solo voi stessi che avete bisogno di nuove motivazioni, di nuove ispirazioni, di rinnovare la forza di volontà per lavorare sulla vostra musica. Forse avete solo bisogno di un nuovo repertorio, di una nuova musica, di una nuova vita.

Ricordate sempre, l’antico motto di questo blog: prima viene il musicista, poi lo strumento.