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Arranger Legacy | Korg Pa1X

Nelle nostre precedenti avventure di Arranger Legacy, vi abbiamo svelato le radici di Korg Italy in un racconto nato in occasione della celebrazione di iS40 e i40M. Era il 1998, un anno di svolta; un paio d’anni dopo (nel 2000 esattamente), il centro R&D italo-giapponese aveva poi scosso il mondo degli arranger con l’innovativa Pa80 – una storia che ci piacerebbe raccontarvi, ma non questa volta. Oggi, infatti, il salto temporale ci porta ad immergerci nel 2003, l’anno in cui Pa1X ha fatto il proprio trionfale debutto nella versione PRO, segnando un nuovo capitolo nella saga di Korg e cambiando per sempre il panorama dei Professional Arranger di alta gamma.

L’erede di Pa80

PA1X si presenta dunque come un’evoluzione della mitica Pa80, conservandone l’architettura strutturale sotto il cofano. Dal punto di vista hardware, Pa1X si distingue dal suo predecessore grazie alla scocca robusta in alluminio e alla tastiera di fabbricazione Fatar (nella versione a 76 tasti semi-pesati questi hanno forme pianistiche, mentre nella versione a 61 sono nel tipico profilo synth). La generazione sonora di Pa1X si basa su Hyper Integrated (HI): è lo stesso generatore che montava la workstation Triton con 62 note di polifonia; ritorna il touch screen (già visto anni prima su i30 in casa Korg), oltre a 870 voci, 350 stili editabili, drawbar digitali, joystick per la modulazione del pitch e slider assegnabili, tre ingressi pedali. Il mercato resta impressionato dalla presenza a bordo dell’ottimo processore vocale TC-Helicon. Quest’ultimo e il generatore sonoro sono le uniche eccezioni di provenienza straniera, rispetto un prodotto interamente progettato e costruito in Italia: da una parte lavora il centro ricerca & sviluppo di Korg Italy a Campocavallo di Osimo (AN), dall’altra opera l’assemblaggio e il collaudo tecnico affidato ad un’azienda terza, la Elbac di Castelfidardo (AN).

Roberto Marcucci durante il tour dimostrativo di Korg Pa1X PRO (2003)

Dopo il modello PRO a 76 tasti, nel 2004 la versione a 61 tasti ed amplificata

Pa1X Pro è dunque la prima versione con 76 tasti; segue Pa1X con 61 tasti e bi-amplificazione di bordo: 2×35 Watt + 2×12 Watt, 4 altoparlanti a 2-vie, con l’aggiunta di Bass Reflex. Anche questi amplificatori erano stati ideati, sviluppati e messi a punto in casa da Korg Italy. L’Hard-Disk era disponibile come accessorio opzionale. Le dimensioni si riducono e il peso scende da 22 kg a 19,5 kg. Per completare il panorama, a seguire ci sarà spazio per una versione speciale (Pa1X Pro Elite), una sorta di edizione Full Optional pensata per il mercato britannico (include di serie il disco fisso interno, un ingresso bilanciato per il microfono, la possibilità di mixaggio in tempo reale e il controllo dei drawbar).

Storia di uomini e professionisti

Lo strumento è progettato per affascinare i musicisti, offrendo una vasta gamma di funzionalità per la composizione e l’esecuzione musicale. Per realizzare Pa1X, Korg Italy ha fatto leva sullo stesso team che aveva creato Pa80. Alla guida c’è sempre Francesco Castagna che coordina la parte musicale; Jurgen Schmitz è il vero responsabile tecnico del progetto e la mente autentica dietro l’innovazione; Andrea Bernardelli (entrato in Korg con Pa80) si occupa della parte musicale, distinguendosi come creatore del SongBook. Roberto Marcucci si dedica alla preparazione di tutti i suoni.

La programmazione degli stili è il risultato di un lavoro di squadra nel laboratorio di Campocavallo. Fra questi si distingue, pur dall’esterno, una nostra vecchia conoscenza, Michele Mucciacito, che cura gli stili di repertorio italiano e latino: successivamente, Michele produrrà il contenuto di una Expansion Board (la Latin Card) con 32 stili e campionamenti musica latino-americano e che avrà un discreto successo. Anche Marcello Colò, collega del team Arranger Legacy, ha avuto un ruolo in quelle vicende: in quegli anni, Marcello collabora con Syncro, il distributore nazionale dei prodotti Korg, e si alterna con Roberto Marcucci per le date del tour dimostrativo. Il ruolo di Marcello è anche quello di raccogliere e riferire il riscontro del mercato a Korg Japan, interfacciandosi con Oscar Tedesco di Mastertronics, partner globale di Korg all’epoca, per l’assistenza tecnica.

Marcello Colò durante il tour dimostrativo di Korg Pa1X PRO (2003)

Una storia di successo

Dal punto di vista commerciale, PA1X vende discretamente bene, ma – ovviamente – non raggiunge i numeri eccezionali di Pa80 (quest’ultima detiene ancora oggi il record assoluto di vendite mondiali fra tutti i modelli Korg nella sua storia). Del resto, i tempi sono cambiati e tre anni dopo, nel 2006, Korg dovrà uscire in fretta per aggiornare il catalogo con Pa800: la tecnologia corre e reclama la dotazione della porta per le chiavette USB al posto del floppy-disk in via di estinzione.

Tra i competitor principali di Pa1X dell’epoca, vanno citati Yamaha Tyros e Ketron SD1-Plus; la prima soprattutto nell’ambito Home Studio e casalingo, la seconda più nel versante Live. Un po’ in disparte Roland che, pur essendo un temibile concorrente come marchio, in quel periodo era sul mercato con la serie VA, una generazione di arranger un po’ in ombra rispetto i gloriosi modelli delle serie G. Sullo sfondo, Generalmusic era già de facto sul viale del tramonto.

Nell’arco della storia degli arranger, Pa1X ha un forte significato soprattutto quello che è stato il suo seguito: una serie di ammiraglie che daranno lustro al marchio Korg basandosi su un’architettura che ha avuto il pregio di durare vent’anni con Pa2X, Pa3X fino a Pa4X. Mentre l’attuale Pa5X, come sapete, è tutta un’altra cosa.

Conclusione e ringraziamenti

Per saperne di più, non esitate a farvi un giro su SM Strumenti Musicali con l’eccellente intervento di Riccardo Gerbi e il ricco approfondimento di Giorgio Marinangeli nel suo blog omonimo.

Ringrazio la fonte principale per le informazioni di questo articolo e cioè Andrea Bernardelli ex-collaboratore di Korg Italy e, accanto a lui, Marcello Colò. Quel Marcello che ora potete seguire nel video che segue.

Arranger Legacy | Yamaha PSR-6300

In una dimensione parallela, nel regno musicale dove oggi risplende la memoria degli appassionati di tastiere arranger, c’è un posto speciale che ospita il ricordo di Yamaha PSR-6300, strumento dai contorni leggendari. Non era solo una tastiera, ma un portale magico per un’epoca dimenticata: gli anni ’80, un periodo così raffinato e affascinante che sembrava uscito da una commedia musicale. PSR-6300, con i suoi pulsanti colorati e il design che gridava in quegli anni “Guardatemi, sono il futuro!”, sembrava una meraviglia della tecnologia. Sotto il suo coperchio fantascientifico, nascondeva una tastiera sensibile al tocco che poteva farti sentire come il re della pista da ballo o il protagonista di un film d’azione anni ’80. Con una valida gamma di suoni, dal pianoforte elettrico che permetteva di esprimerti come un vero e proprio rocker da strada al synth che ti faceva pensare di essere un astronauta del futuro, PSR-6300 sapeva come trasportarti in mondi musicali impensati. E la sua funzione di accompagnamento automatico? Quella band virtuale era pronta a suonare al tuo comando e, sebbene in quegli anni gli stili Yamaha non fossero competitivi come quelli di oggi, avevano un loro perché di significativo per i tempi.

Yamaha PSR-6300

Yamaha PSR-6300 rappresenta una tastiera digitale di rilievo nel panorama musicale, la sua uscita nel 1986 è contemporanea al modello di punta dei synth Yamaha, DX7 Mk II. L’evento ufficiale di introduzione dei due modelli al mercato italiano è avvenuto nel mese di settembre 1987 in un’ambiente fiabesco presso il Grand Hotel Baglioni di Firenze, dove Riccardo Burattini fece una spettacolare presentazione di questo arranger in pompa magna. Si narra che, a livello globale, PSR-6300 abbia trovato ampio utilizzo tra numerosi musicisti professionisti, tra cui spiccano nomi illustri come Herbie Hancock, Chick Corea e Jean-Michel Jarre.

Serie Portatone: gli arranger Yamaha degli anni ottanta

Caratterizzato da una tastiera di dimensioni standard composta da 61 tasti dinamici, PSR-6300 offriva una vasta gamma di funzionalità avanzate per l’epoca. Tra queste spiccava un sequencer integrato a cinque tracce che consentiva una notevole flessibilità nella creazione e nell’organizzazione di composizioni musicali complesse. Tutto questo tenendo conto che il General MIDI era ancora di là a venire. Ritenuto il fiore all’occhiello delle tastiere portatili Yamaha nella seconda metà degli anni 80, PSR-6300 vantava un valido rapporto qualità-prezzo, posizionandosi come una scelta di valore per i musicisti professionisti e gli appassionati di musica alla ricerca di prestazioni affidabili e di alta qualità.

Fabbricata in Giappone, PSR-6300 si distingueva per la robustezza e il design unico che permetteva alla tastiera di chiudersi completamente per un facile trasporto. Un’idea derivava dal genio italiano di Mario Bellini che aveva già disegnato il case del modello precedente PSR-6100 vincendo il premio internazionale Good Design Award 1984.

Mario Bellini suona Yamaha PSR-6300

Grazie ad un’ampia capacità di sintesi del suono, PSR-6300 metteva a disposizione del musicista una discreta gamma di suoni, tra cui pianoforti acustici ed elettrici, organi, archi, ottoni e sintetizzatori. Il generatore sonoro consentiva l’utilizzo di tre voci in layer (Upper Orchestra, Lower Orchestra e Solo). Il suo design esterno era caratterizzato da un colore grigio antracite con un pannello di controllo principale pieno di pulsanti e cursori, mentre 4 display LED si illuminavano segnando il tempo. I due speaker erano laterali rispetto i 61 tasti. PSR-6300 non era considerato un “giocattolo”, ma uno strumento serio per gli appassionati di musica.

Le caratteristiche chiave di Yamaha PSR-6300 includevano la possibilità di creare i propri accompagnamenti (8 locazioni in aggiunta alle 48 preset), unità effetti con Chorus, Duet, Trio, Portamento e Sustain, rotella pitch bend e rotella di modulazione. Queste caratteristiche rendevano PSR-6300 uno strumento versatile e apprezzato sia dagli appassionati di musica che dai professionisti.

Una funzione rivelatrice fu la Rhythm Step Light. Fino a quel momento, per creare e registrare accompagnamenti originali, i programmatori musicali dovevano selezionare un pattern ritmico di base e suonare l’accompagnamento in tempo reale mentre il pattern era in esecuzione. La risoluzione era di trentaduesimi, quindi se il timing era impreciso o se si iniziava a programmare prima di aver definito le frasi, si rischiava di confondersi con i propri ritmi e finire in un vicolo cieco. La funzione Rhythm Step Light rese possibile inserire ritmi anche senza eseguirli in tempo reale.
In effetti, la funzione Rhythm Light fu rivoluzionaria perché sfruttava il concetto distintivo delle tastiere portatili: usare i tasti per inserire dati. Sopra i tasti della PSR-6300 erano stampate le icone delle voci percussive. I numeri da 1 a 32 erano stampati sopra i tasti della metà sinistra: ogni tasto rappresentava un passo in due misure di sedicesimi (16 × 2 = 32) e poteva essere usato per inserire il numero corrispondente. Ad esempio, per inserire un suono di grancassa su ogni quarto, l’utente teneva premuto il tasto della grancassa sulla destra e poi premeva i tasti 1, 5, 9, 13, 17, 21, 25 e 29 sulla sinistra. I tasti numerati della PSR-6300 funzionavano esattamente come le schermate a matrice delle drum machine. Gli schermi LCD non erano ancora diffusi, quindi offrire un’interfaccia utente di questo tipo richiedeva pulsanti e interruttori dedicati. In quel contesto, usare i tasti al posto dei pulsanti fu un colpo di genio.
Dietro l’adozione di questo metodo di input “non in tempo reale” c’era l’intento di Yamaha di rendere la musica accessibile a più persone, e anche l’influenza del fenomeno DTM (Desktop Music), che sarebbe esploso negli anni successivi. Da quel momento in poi, le tastiere portatili non sarebbero più state solo strumenti da suonare nel senso tradizionale, ma anche strumenti di produzione musicale.

Con il coperchio chiuso, PSR-6300 era pienamente trasportabile

L’esperienza d’uso di PSR-6300 potrebbe sembrare un po’ datata, ma a chi importa oggi se permette l’accesso a così tanta nostalgia? Yamaha PSR-6300 è stata un’icona del regno musicale degli arranger, un simbolo che faceva divertire e ballare allo stesso tempo. E anche se ora è solo un ricordo del passato, la sua leggenda perdura, e mi piace immaginarla ancora oggi in azione nelle feste in cui gli amanti degli anni ’80 si riuniscono per ballare e ridere di quella indimenticabile era musicale.

Ora, per completare la storia di PSR-6300, non vi resta che leggere gli altri contributi della squadra di Arranger Legacy: l’approfondimento tecnico dello strumento redatto da Giorgio Marinangeli, consultare la visione di insieme su SM Strumenti Musicali di Riccardo Gerbi (lettura più che mai interessante stavolta grazie al prezioso intervento del mitico Luca Pilla in persona) e assistere alla demo di Marcello Colò che segue. 

Arranger Legacy | KORG iS40 e i40M

Oggi approdiamo alla decima puntata di Arranger Legacy, la rubrica che – in modo trasversale – potete seguire sul web con i contributi di Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali, Giorgio Marinangeli sul suo blog e Marcello Colò su YouTube. Il modello vintage protagonista dell’episodio odierno è KORG iS40 e, dietro di lui, le sue varianti (i40M innanzitutto ma anche iS50 e iS35).

La nascita di Korg Italy

Nel mese di novembre 1996, una nuova realtà di sviluppo arranger entra in azione in Italia per conto della giapponese Korg Inc. Il nuovo laboratorio viene inaugurato ad Osimo nelle Marche al fine di creare progetti Made in Italy a favore soprattutto dei mercati europei e medio-orientali. La scelta delle Marche non è un caso, visto che in quell’area si concentra in quegli anni un numero elevato di aziende di strumenti musicali fra quelle più celebri nel mondo. Questa esperienza industriale nasce come un sinergico abbraccio fra creatività e passione che – a partire dal suo cuore italiano – irradia per lunghi anni (ancora oggi!) nuove tecnologie musicali, a favore della comunità dei tastieristi nel mondo.

Negli anni precedenti, la casa madre giapponese si era fatta apprezzare grazie alla produzione di tastiere con accompagnamenti, modelli di gran lustro, fra cui la mitica i3, seguita da i4S, i5S/i5M e iX300. La nuova realtà aziendale italiana nasce dunque con l’obiettivo di innovare quel panorama musicale andando a sviluppare e produrre nuovi arranger per la serie “i”.

KORG iS40

Il nuovo centro R&D si forma reclutando alcuni fra i progettisti migliori che erano al lavoro presso GeneralMusic: non è un caso che il declino dell’azienda romagnola coincida con gli inizi roboanti di Korg Italy. L’avvio delle operazioni marchigiane registra il proprio esordio ufficiale con la progettazione e il lancio dell’arranger iS40 nel 1998.

L’esordio con iS40

I punti di forza di iS40 sono merito dell’architettura ereditata da i3 che qui viene semplificata a favore di un uso più immediato e intuitivo. L’elettronica e il firmware sono quelli originali di ideazione giapponese: ma la mentalità musicale è ora quella italiana. Il generatore sonoro AI2 Synthesis e il processore continuano ad operare con 32 oscillatori e altrettante note di polifonia. La wavetable cresce di spazio e così anche il numero di campioni, per un totale di 320 voci. L’inclusione dell’utile Aftertouch, sotto i 61 tasti Fatar, costituisce un segno distintivo di uno strumento di elevata qualità, destinato ai musicisti raffinati. Gli stili di accompagnamento sono 128 e sfruttano altrettanti Arrangement: quest’idea di disaccoppiare i pattern degli stili dai comandi MIDI di assegnazione delle voci (Program Change, effetti, tempo), crea apparentemente un’insolita ridondanza: in realtà, l’idea originale era stata concepita con i3 con l’obiettivo di ampliare il numero di stili preset, ottimizzando l’uso della limitata memoria disponibile.

Torniamo a iS40, dove troviamo il riconoscimento accordi ideato da Stephen Kay (il padre di KORG Karma) e che durerà a lungo anche nei modelli successivi, almeno fino a quando non saranno sviluppate le nuove NTT (intorno al 2000). Due classici processori di effetti stereo sono a servizio dello strumento, utilizzando un piccolo set di 47 effetti.

Lo strumento lavora per “modi”: Arrangement Play, Backing Sequence, Song Play, Song Edit, Program, Disk/Global. Tale organizzazione del sistema operativo secondo “silos separati” sarà lo standard in casa Korg per molti anni: per vederla superata, si dovrà aspettare il 2022 con il lancio di Pa5X.

KORG iS40

Il dispositivo per caricare e salvare dati è sempre lui, il floppy-disk noto per essere un drive innovativo e silenzioso per l’epoca: non si sente il classico clic all’inserimento di un dischetto; è un piccolo dettaglio ma significativo per chi fa musica. Il repertorio di suoni e stili è adeguato alle esigenze di chi effettivamente suona gli arranger in giro per i locali: sempre di più, gli arranger Korg sfumano l’anima rock degli inizi e danno spazio della musica da ballo in vigore all’epoca. Pur essendo tutta plastica, iS40 pesa buoni 12,9kg.

Lo strumento guadagna sul campo una buona reputazione, offrendo Aftertouch e suoni paragonabili a quelli di tastiere più costose. È facile da usare e gli aspetti meno intuitivi sono illustrati e spiegati con chiarezza dal manuale utente di ottima stesura, grazie al lavoro di Paolo Tramannoni. La possibilità di aggiornare il sistema operativo non è banale per l’epoca e viene apprezzata da molti. Fra le altre benvenute caratteristiche, ricordiamo lo spazio a bordo per caricare 16 stili utente e 64 arrangiamenti, con la pecca di non poter creare stili nuovi direttamente sullo strumento. iS40 è comunque in grado di importare gli stili degli strumenti Korg precedenti (come i3) anche se, vista la diversa tabella di voci, suonano secondo gusti più convenzionali e meno ruggenti.

Il lettore di basi MIDI sfrutta i suoni GM dei prodotti di Korg Japan: erano molto validi, ma un adattamento competitivo allo standard di riferimento (Roland Sound Canvas) sarà possibile solo con i modelli successivi della serie Pa.

Il lancio sul mercato italiano avviene con la regia di Syncro (azienda di Numana in provincia di Ancona) distributore ufficiale dei prodotti Korg in Italia all’epoca. L’impatto sul mercato è notevole: le vendite sono adeguate agli obiettivi aziendali. Fra i diversi concorrenti diretti con cui iS40 si misura, in competizione commerciale, possiamo citarne due: Roland G-600 e Solton by Ketron MS-100.

Protagonisti del progetto

Il gruppo che realizza iS40 è guidato da Francesco Castagna responsabile del progetto; c’è poi Jurgen Schmitz direttore del centro R&D, mentre Max Tempia coordina la parte musicale e Roberto Marcucci si occupa dei suoni. La programmazione degli stili è il risultato di un lavoro di squadra nel laboratorio di Osimo.

Il lavoro di design per iS40 viene commissionato al Team CSD, composto da Aldo PetilloEliana Lorena e Andrea Dichiara. Questi talentuosi designer realizzano un progetto innovativo di tastiera elettronica, finiture, grafica e ingegneria di alto livello estetico e funzionale. Il look dello strumento spicca per originalità, rispetto quanto s’era visto fino ad allora. Il risultato riceve riconoscimenti prestigiosi, tra cui il Premio Design Hannover nel 1998 e il Premio Good Design Chicago nello stesso anno. E. Lorena A.Petillo design -Team-csd

Evoluzione: iS50, i40M e iS35

La produzione di iS40 viene affiancata da una versione più economica dello stesso strumento iS50. Quest’ultimo si distingue per l’assenza di Aftertouch e Keyboard Set e per una memoria ROM inferiore di 2MB (12MB contro 14MB del modello superiore). Il pedale Damper condivide l’ingresso con il pedale assegnabile, mancano gli ingressi Audio Input e non è presente l’ingresso per la pedaliera KORG EC-5. Le porte MIDI sono ridotte all’essenziale (IN, OUT), gli amplificatori di bordo hanno minore potenza (2x8W vs 2x14W) e manca la rotella del DIAL.

KORG i40M

L’anno successivo (1999), Korg Italy realizza i40M una versione a modulo di iS40 e che si distingue, oltre al fatto di non avere una tastiera, per la presenza di un armonizzatore vocale, per la prima volta nella serie i.  Con l’aggiunta dei tasti e con il cambio di colore della scocca da grigio a blu, i40M diventa iS35, l’ultimo modello di Korg Italy prodotto con hardware e software di provenienza giapponese.

iS40, iS50 (in versione blu iS50B), i40M e iS35 faranno incetta di vendite in Italia e all’estero sotto l’egida dell’azienda di Osimo, in attesa del giorno in cui l’azienda italo-giapponese farà il botto mondiale con Pa80, il modello che vanterà uno straordinario record di vendite fra tutti i modelli prodotti con il marchio KORG. Ma questa è un’altra storia da raccontare.

Grazie

Le fonti che mi hanno permesso di raccogliere informazioni di prima mano e scrivere l’articolo che avete appena letto sono Andrea Bernardelli, ex Product Specialist di Korg, e Max Tempia di cui vi abbiamo raccontato vita e miracoli grazie ad una lunga intervista che ha rilasciato ai lettori di questo blog. Ringrazio entrambi per la loro disponibilità e partecipazione.

E ora godiamoci il video dimostrativo di KORG i40M grazie alla bravura di Marcello Colò.

Arranger Legacy | Generalmusic WX2, WX400, WX EXPANDER

Nella prima puntata di Arranger Legacy (era il 21 marzo 2022), avevamo esordito raccontandovi di GEM WS2 e del ruolo cruciale che quell’arranger aveva ricoperto nella diffusione degli strumenti con accompagnamenti fra i giovani tastieristi dell’epoca. Oggi, giunti al decimo episodio di questa rubrica corale che – come sapete – prevede l’uscita contemporanea di Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali, di Giorgio Marinangeli sul proprio blog, di Marcello Colò su YouTube e del sottoscritto qui sul sito delle Tastiere Arranger, oggi dicevo è il momento di narrarvi il sequel di quella WS2. Parliamo, cioè, del trittico composto da WX2, WX400 e WX EXPANDER, tre strumenti che hanno rappresentato un’importante evoluzione tecnologica di casa GEM.

Nel 1993, l’azienda stava vivendo la metamorfosi della propria intitolazione – da GEM in Generalmusic – e aveva investito le cospicue risorse finanziarie ottenute dal successo commerciale di WS2 per progettare e realizzare la propria crescita. I tre nuovi modelli WX si distinguevano per il fattore di forma: accanto alla classica versione WX2 a 61 tasti leggeri di produzione Fatar, GEM rilasciava una variante pianistica ad 88 tasti pesati (WX400) ed un modulo di espansione senza tasti (WX EXPANDER).

Copertina brochure originale della serie Generalmusic WX (1993)

La serie WX ha rappresentato il primo strumento musicale al mondo con funzioni avanzate di karaoke. Era possibile leggere i testi delle canzoni sul piccolo display di bordo oppure su un monitor TV esterno e, per la prima volta, si potevano persino sperimentare letture di spartiti digitali. Non a caso, dal punto di vista della comunicazione, per lanciare i nuovi modelli, l’azienda utilizzava il termine Multimedia Workstation.

Fino a quegli anni, i dispositivi karaoke più diffusi sul mercato erano i lettori Pioneer di Video Laser Disc che – inizialmente in Giappone ma poi in tutto il mondo – avevano costituito l’infrastruttura portante del fenomeno del karaoke, grazie ad una sottostante vasta produzione di video musicali che evidenziavano i testi in sincronia con il canto. In Italia, la cosa era diventata famosa grazie ad una riuscita serie televisiva condotta da Fiorello su Italia Uno dal 1992 al 1994. In realtà il karaoke era un fenomeno globale che risaliva a molti anni prima e che doveva le proprie origini al capillare successo dei piccoli locali giapponesi, dove il pubblico poteva cimentarsi in improvvisate esibizioni canore, leggendo i testi delle canzoni più popolari dal monitor TV collegato al Video Laser Disc (LD-G) e cantando in un microfono collegato all’impianto audio. In questo contesto, GEM aveva quindi introdotto sul mercato uno strumento musicale pronto all’uso per il musicista animatore, dove non era più necessario procurarsi i costosi video, grazie alla nuova abbondanza di basi MIDI che includevano le liriche sillabate dei testi delle canzoni. I brani musicali erano forniti dalla GEM Software Division. WX2 si vendeva anche in bundle con un televisore MIVAR in modo da fornire un impianto completo per fare karaoke in ambito casalingo o piccoli locali.

La serie WX non aveva un hard-disk interno, ma leggeva i floppy disk sfruttando una piccola SRAM (Static Ram) all’interno per caricare fino ad 8 song per volta ed altre risorse. La tecnologia era in via di evoluzione ma si sarebbe dovuto attendere ancora qualche anno (vedi, ad esempio, Ketron MidJay) per ottenere quelle dimensioni di storage interno necessarie per contenere tutte le basi utili per una serata. Gli orizzonti del mercato di GEM non erano circoscritti all’Italia; e nemmeno all’Europa. Spingendo sull’acceleratore del karaoke, GEM intendeva aggredire il mercato asiatico.

Nell’economia del catalogo GEM, la serie WX era la prima a supportare il General MIDI, sia nella mappatura dei suoni di fabbrica, sia nella compatibilità con gli Standard MIDI file. A dire il vero, il vasto catalogo di basi proprietarie, ottimizzate per lo strumento, sfruttava al meglio l’arsenale di suoni e di effetti. Non solo: il formato proprietario delle basi GEM gestiva tre tracce addizionali: una per i testi, una per la melodia (notazione) e una per gli accordi. Il fenomeno della duplicazione dei floppy disk questa volta viene ostacolato, dopo essere stato il cavallo di battaglia di GEM con WS2: GEM aveva studiato alcune protezioni che impedivano la copia, ma – si sa come va il mondo – gli smanettoni più esperti avevano già trovato un modo su come aggirare i controlli.

Generalmusic WX EXPANDER

Fate clic qui per scaricare il file PDF della brochure originale della serie WX.

Sugli strumenti WX, si potevano comunque costruire le proprie basi grazie alla presenza di un capace sequencer professionale a 16 tracce con funzionalità di editing superiori come Microscope e Undo. Teoricamente anche gli stili di accompagnamento avrebbero potuto essere programmati direttamente nello strumento ma, per velocizzare le operazioni di sviluppo, i professionisti usavano un computer esterno che, secondo lo standard dell’epoca, era un Atari ST su cui giravano Notator e/o Cubase. Gli stili non potevano essere caricati tramite il sequencer interno: andavano trasmessi da Atari tramite la porta MIDI e mettendo lo strumento in record “a velocità ridotta” per non correre il rischio di perdere qualche evento nella trasmissione.

Alcuni musicisti apprezzavano la funzione Extract che otteneva dal MIDI file una traccia a scelta per lo score: poteva essere visualizzata soltanto la linea del canto o altre tracce monofoniche, ma era il primo grande passo verso gli spartiti digitali di bordo che faranno la fortuna di molti modelli di arranger negli anni a venire.

Dal punto di vista fisico, l’estetica dello strumento era sublime e molti apprezzavano la comodità dei pulsanti retroilluminati sul pannello: tutte le funzioni della tastiera erano riconoscibili anche al buio. Come da tradizione GEM, tutto il corredo era stato progettato e fatto in casa: sia l’hardware, sia il software. La generazione sonora era stata rinnovata prendendo le mosse da WS2: la wavetable era stata rifatta ex novo (6MB) e poggiava su 32 note di polifonia (lo standard dell’epoca). I suoni erano 472 e 96 gli stili di accompagnamento.

La serie WX poteva caricare campioni (sample) in formato proprietario GEM, sulla scia di quello che verrà poi adottato sulla workstation S2: quest’ultima era un modello alternativo, senza tracce di accompagnamento, trattandosi appunto di un nuovo synth categoria assente da diversi anni in casa GEM (dovremmo dire ormai Generalmusic). S2 era nata infatti nel laboratorio GEM di Recanati, dove era stato ideato uno strumento completamente diverso, con una architettura specifica per le tipiche funzionalità da synth e workstation. Gli arranger WX invece erano nati all’interno dello stesso gruppo di sviluppo che aveva creato WS2, nel laboratorio di San Giovanni Marignano. I nomi dei protagonisti di questo progetto sono quindi gli stessi che avevamo citato nell’articolo dedicato a WS2 e a cui vi rinvio per i dettagli.

Nonostante i positivi risultati commerciali della serie WX, i numeri delle vendite non avevano raggiunto i livelli eccezionali di WS2. I tempi erano cambiati: la concorrenza era scatenata. Si pensi che nel 1993, erano contemporaneamente usciti sul mercato alcuni modelli epocali come Korg i3, Roland E-86, Yamaha PSR-300 e Technics KN2000. Nonostante le quantità inferiori di vendite, WX2 aveva comunque un prezzo di listino superiore rispetto WS2 e questo aspetto ha permesso all’azienda di ottenere margini di rilievo, conservando il buono stato di salute finanziaria (siamo negli anni del grande boom economico della casa romagnola).

Il debutto di WX2 era avvenuto al Musik Messe di Francoforte nel 1993 con la presentazione seguita da Enzo Bocciero in persona; accanto a lui c’era Marcello Colò (sempre lui, la nostra fonte!) che presentava S2 e WS2 (la produzione del modello precedente proseguiva ostinata, grazie alle vendite che non sembravano ancora calare). Dietro le quinte, vale la pena citare un aspetto interessante e curioso mi è stato segnalato da Marcello stesso: la serie WX aveva cambiato il paradigma delle classiche dimostrazioni in pubblico di strumenti nuovi. Prima di WX2, il pubblico delle demo era passivo e assisteva da spettatore alle esibizioni di presentazione dei nuovi prodotti. Con WX2, il pubblico era diventato protagonista: spesso il dimostratore coinvolgeva i visitatori delle fiere e dei negozi, invitandoli a cantare in sessioni di karaoke improvvisate. Per la cronaca, Marcello ricorda ancora una fortunata serie di dimostrazioni in Sudamerica, dove si era fatto accompagnare da due eccellenti cantanti brasiliani che rendevano brillanti e affascinanti quelle esperienze.

Arranger Legacy | Roland RA-95

A metà degli anni 90, il dominio commerciale di Roland nel mercato degli arranger dilagava. La filiale produttiva di Acquaviva si poneva di fronte alla casa madre giapponese con orgoglio avendo dimostrato un settennio di vendite straripanti, al punto da far quasi impallidire i ricavi dei modelli giapponesi. Gli italiani avevano cucito attorno al generatore sonoro MT-32 (prima) e Sound Canvas (SC-55) poi, un corredo di stili di accompagnamento che aveva trasformato quegli oggetti di successo in una macchina con cui costruire sogni musicali e ottenendo una sequenza di trionfi planetari (NDA: ne abbiamo ampiamento parlato nella precedente puntata di Arranger Legacy dedicata a Roland PRO-E). I giapponesi avevano contribuito al progetto nel 1989 cimentandosi nella produzione di RA-50, che non era altro che una PRO-E incapsulata nelle forme di un expander: era nata così l’idea dei moduli arranger senza tastiera. Il progetto è stato poi riportato in Italia per seguire la forte evoluzione che si stava verificando ad Acquaviva Picena, dove, nel 1992, si annunciava il modello successore RA-90 e, due anni dopo, RA-95, oggetto della nostra puntata odierna. 

Roland RA-95

Mentre le tastiere a 61 tasti della serie E affascinavano prevalentemente il pubblico degli appassionati e dei giovani tastieristi, l’idea di disporre di un modulo leggero e compatto da affiancare a pianoforti e tastiere master era più attraente per i numerosi professionisti della musica dal vivo dell’epoca. Non è un caso che l’uscita di RA-95 è stata accompagnata dalla prima tastiera arranger Roland non amplificata (G-800), specificamente progettata per chi suonava centinaia di serate all’anno e, dalla cui evoluzione negli anni a seguire, germoglieranno in sequenza G-1000, VA-76, G-70 e BK-9 (che galleria formidabile di modelli, chi li ha suonati può immaginare a cosa mi riferisco). Per dover di cronaca, dobbiamo citare l’uscita – quasi contemporanea con RA-95 – di un altro modello, denominato RA-30: un modulo in formato desktop che si distingueva soprattutto per essere meno costoso e limitato dal fatto di non poter caricare stili nuovi. A quei tempi, Roland distribuiva anche l’accessorio KP-24 che permetteva di interfacciare i moduli della serie RA con un pianoforte acustico. La versione a 61 tasti di RA-95 si chiamava E-66 ed era uscita l’anno precedente. 

Ritornando a RA-95, il modello aveva migliorato il precedente RA-90 grazie all’espansione della polifonia (da 24 a 28 voci), dei timbri disponibili (da 128 a 241), dei kit percussivi (da 8 a 9). Ai 56 stili di accompagnamento Basic si erano aggiunti 56 stili classificati come Advanced, con la possibilità di caricarne altri 4 per volta grazie all’introduzione del Floppy Disk Drive che aveva definitivamente mandato in pensione il lettore delle costose card. 

Roland RA-95

L’usabilità degli arranger del tempo era strettamente basata su modalità d’uso alternative: ARRANGER MODE e SONG GM-GS. Il primo modo consentiva l’uso dello strumento con gli accompagnamenti in tempo reale; il secondo trasformava lo strumento di un expander pilotabile dall’esterno sulle 16 tracce MIDI oltre alla possibilità di mettere le basi MIDI in esecuzione dal Floppy Disk. A differenza di modelli precedenti, questa generazione di arranger Roland consentiva di suonare con le proprie mani le parti dal vivo mentre le basi MIDI erano in esecuzione. 

I nomi dei protagonisti che hanno creato RA-95 sono gli stessi che abbiamo citato nella puntata dedicata a Roland PRO-E: trattasi della squadra di Roland Europe di Acquaviva Picena guidata da Francesco Rauchi, Luigi Bruti e Roberto Lanciotti. Per l’elenco completo dei nomi, vi rinvio all’articolo già citato qui sopra

Ora, per completare la storia di RA-95, non vi resta che leggere gli altri contributi della squadra di Arranger Legacy: l’approfondimento tecnico dello strumento redatto da Giorgio Marinangeli, consultare la visione di insieme di Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali e assistere alla demo di Marcello Colò che segue. 

Arranger Legacy | GEM Genesys

Nell’ambito della rubrica Arranger Legacy, abbiamo sinora affrontato sette magnifici strumenti del passato, grazie alla collaborazione con Riccardo Gerbi, Giorgio Marinangeli e Marcello Colò. Oggi siamo qui raccontarvi l’esperienza di GEM Genesys nella storia delle tastiere con accompagnamenti. Vi consiglio un passaggio su SM Strumenti Musicali e sul blog di Giorgio Marinangeli per completare le diverse letture, mentre al fondo di quest’articolo trovate il video dimostrativo di Marcello Colò. Partiamo!

Copertina della brochure di GEM Genesys

A metà degli anni 2000

La prima volta che ho affrontato a fondo l’argomento GEM Genesys risale al DISMA di Rimini a metà degli anni duemila. Per chi non lo sapesse, il DISMA è stato per anni l’appuntamento più importante in Italia per il mercato degli strumenti musicali. Ed è stata quella fiera l’occasione in cui ho conosciuto di persona Luca Pilla, l’attuale direttore di Audio Fader e SM Strumenti Musicali, web magazine che ospitano – di tanto in tanto – i miei piccoli contributi alla diffusione della conoscenza delle tastiere arranger. Torniamo a noi: quel giorno, dopo una lunga e avvincente chiacchierata sull’evoluzione in corso delle tastiere digitali, ci siamo recati allo stand Generalmusic dove Luca mi ha presentato Raffaele Mirabella (ai tempi dimostratore dei prodotti GEM ed oggi Product Specialist del settore tastiere in Algam Eko, vale a dire distributore nazionale di prodotti Korg, Studiologic, Nord); ed è così che tutti e tre abbiamo affrontato insieme l’argomento in questione. Ricordo che quell’incontro è stato illuminante nel farmi comprendere come parlare di Genesys significasse di fatto argomentare su WK4 o meglio WK8. La serie WK era infatti nata nel 1994 e aveva conquistato la piazza grazie alle dotazioni innovative per i tempi, fra cui l’Hard Disk, l’armonizzatore vocale e la possibilità di aggiornare il sistema operativo tramite floppy disk. Quando i modelli WK avevano già dato tutto, l’azienda romagnola ha pensato di riutilizzare processore, architettura, sistema operativo e risorse musicali per nuovi modelli di strumenti: nascevano così prodotti destinati a chi suonava sul palco (modelli SK a 76 o 88 tasti, senza amplificazione di bordo), a chi bramava i pianoforti digitali (modelli PS) e ai producer con l’introduzione di Genesys nel 2002: lo slogan commerciale recitava come quello fosse il primo strumento in assoluto capace di consentire la creazione in casa di un CD audio partendo da zero. Si poteva infatti registrare in multitraccia MIDI, prendendo le mosse dagli stili dell’arranger o suonando con le proprie mani; e si poteva realizzare un brano musicale completo, aggiungendo persino la linea vocale (Vocal Genius) per il livellamento del mix finale e masterizzare tutto su CD. Il pubblico si aspettava da GEM sempre e solo primizie. E così è stato.

GEM Genesys – Foto Oostendorp

Caratteristiche

Lo strumento aveva uno chassis innovativo ed accattivante, mentre le dotazioni hardware e software svettavano fra i rinnovamenti tecnologici del momento come la funzionalità di trattamento dei dati in formato audio, sia con lettore MP3/WAV sia con possibilità di registrazione audio sul disco fisso integrato, oltre al caso insolito per gli strumenti a tastiera di essere fornito di lettore DVD e masterizzatore CD. Gli speaker erano davanti e puntavano verso il musicista, fungendo così da monitor, in modo molto originale. Il display VGA ad alta risoluzione era brillante e ben retroilluminato: offriva un’ottima funzionalità LYRICS ma dava il meglio con la pagina SCORE, estrapolando la partitura da una traccia del MIDI file in chiave di SOL. Era stata una scelta all’avanguardia che solo Yamaha ha saputo poi migliorare con Tyros e Clavinova CVP. La wavetable suonava bene rispetto gli strumenti dell’epoca (ricordo con piacere i suoni pastosi di pianoforte acustico e quelli irrequieti di piani elettrici). In genere, gran parte dei timbri non suonano male neanche oggi e non impallidiscono affatto davanti a strumenti più recenti. Come noto, GEM progettava e produceva tutto in casa, compreso il processore Drake che ha fatto la storia.

Il team

Il gruppo di persone, che ha curato la progettazione di Genesys, proveniva dalla struttura che aveva fatto WK4 e WK8: Enzo Bocciero, Marcello Colò (sempre lui, la nostra preziosa fonte di informazioni) e Gianni Giudici avevano curato l’evoluzione delle risorse musicali. Fabrizio Bracalenti aveva seguito tutta la parte del sequencer, HD e CD. Anselmo Bordi aveva sovrinteso il layout del pannello comandi e Bruno Cesanelli la gestione di interfaccia dello strumento.

Genesys XP – Foto: Generalmusic

Responso della clientela

Nonostante la notevole qualità dello strumento, Il prodotto è stato accolto tiepidamente dal mercato. Inizialmente lo chassis aveva segnato difficoltà di vendita a causa del fatto di essere pesante ed ingombrante. GEM era corsa immediatamente ai ripari con una variante più leggera e non amplificata (Genesys PRO) e che presentava per la prima volta un display a scomparsa (vi dice qualcosa?). Successivamente uscì l’edizione expander Genesys XP. Ma i grandi numeri delle serie WS, WX e WK erano definitivamente dietro le spalle. Del resto, la concorrenza si era fatta ancora più spietata con gli annunci di Korg Pa1X, Yamaha Tyros, e Ketron SD1.

Nella rubrica di Arranger Legacy abbiamo spesso parlato di strumenti che hanno lanciato nuove aziende o nuove linee di modelli. Non è il caso di Genesys. In quegli anni, GEM stava esaurendo le proprie risorse economiche, alla vigilia di una crisi che – dal 2008 in poi – avrebbe portato progressivamente alla chiusura dei cancelli dell’azienda. L’arranger Genesys (insieme al pianoforte Pro Mega) ha fatto quindi da colonna sonora all’ingresso dell’azienda nel viale del tramonto: lo staff era in via di spopolamento e il laboratorio non rilasciava più progetti totalmente innovativi da alcuni anni. Genesys è nato quindi a fine corsa della storia di quella Generalmusic che – dopo la chiusura – ha lasciato un grande vuoto nella comunità mondiale degli appassionati di tastiere musicali.

Concludiamo, come da tradizione della rubrica, dando spazio a Marcello Colò e alla sua dimostrazione degli stili di GEM Genesys.

Arranger Legacy | Ketron Midjay

Una brillante idea

Ventun anni fa, nel 2002, dopo aver raccolto per anni consensi internazionali grazie ad una lunga schiera di tastiere arranger (si vedano le serie MS, X e SD), nel centro R&D di Ancona nasceva un progetto originale ed innovativo con il quale uscire dal seminato e andare a coprire le nuove tendenze del mercato che si stavano delineando. L’azienda era già impegnata nel rinnovamento delle proprie piattaforme tecnologiche, mentre un giovane ingegnere, a cui era stato assegnato questo compito, insieme allo storico direttore musicale dell’azienda (Sandro Fontanella) elaboravano un nuovo prodotto che sarebbe uscito sul mercato due anni più tardi, nel 2004, e sarebbe diventato un top seller di vendite per gli anni a venire. Il nome scelto per il prodotto era MidJay e quel giovane ingegnere era Giorgio Marinangeli, oggi membro attivo di Arranger Legacy. Vi consiglio quindi di correre subito a leggere il suo articolo, quello uscito oggi sul suo blog, in sincronia con questo mio, per prendere atto della sua esperienza diretta! Direi di più, siamo fortunati: nel gruppo abbiamo anche Marcello Colò il quale, entrato in quell’azienda in corso di progetto, parteciperà alla costruzione e definizione finale dei suoni, degli stili e delle demo di MidJay. Diciamo quindi che le fonti della puntata odierna di Arranger Legacy sono di primissima mano.

Come da tradizione di questa rubrica, potete seguire i contributi diversi, pubblicati dal team in quadrifonia: Riccardo Gerbi su SM Strumenti Musicali, Giorgio Marinangeli sul suo blog omonimo, Marcello Colò su YouTube, oltre che in questo articolo che state leggendo. Ognuno di noi racconta lo strumento dal proprio punto di vista.

Abbiamo dedicato le edizioni precedenti di Arranger Legacy a:
Farfisa 7X
Solton TS4K by Ketron Lab
Roland E-20, E-10, E-5 e PRO E
Korg i5M, i5S
Generalmusic WS2
Technics SM-AC1200

Il contesto

Erano gli anni in cui si diffondevano i primi file audio, soprattutto MP3, fra i musicisti che si esibivano dal vivo nei locali, nei piano-bar, alle feste, ai matrimoni, nelle discoteche e nelle balere. La diffusione di quei formati si faceva più interessante rispetto i MIDI file che – dopo aver dilagato nei dieci anni precedenti – avevano creato una nuova generazione di musicisti-intrattenitori che si presentava sul palco con una valigiona piena di floppy disk per essere pronti a suonare con il più vasto repertorio. Nei PC e Mac di casa o in studio, si cominciavano a produrre segmenti audio da portare poi sul palco. Era diventata dunque un’esigenza reale dei musicisti di allora: disporre di uno strumento che potesse contenere una più ampia mole di dati da mettere rapidamente in esecuzione dal vivo. Giorgio ricorda di avere avuto l’intuizione nel corso delle serate estive quando, nel tempo libero, suonava sulla riviera del Conero (Ancona): c’era in particolare un suo collega che lavorava dal vivo con GEM WX2 (expander e lettore di MIDI file), dove inevitabilmente la gestione delle basi era complicata dall’uso di centinaia di dischetti: si doveva inserire un floppy disk, caricare le basi, suonare, e poi togliere il disco e metterne un altro e così via. Serviva dunque una macchina altrettanto leggera e compatta, da porre su un leggio, ma che avesse tutto dentro a portata di mano. Una macchina da usare come lettore delle tradizionali basi MIDI ma anche delle nuove tracce audio, da usare come expander, come mixer con tutti i suoi slider, dotato di ingresso microfonico ed effetti. Serviva insomma una macchina multifunzionale. Qualcosa sul mercato c’era ed erano prodotti validi come il Viscount Galileo che leggeva le basi MP3, ma lo faceva da memoria SD con un taglio non illimitato; c’era Charlielab Megabeat One, che era molto forte sugli Standard MIDI file; c’era anche l’eccellente Merish originale di M-Live – diffuso sin dalla fine degli anni 90, ma abile a gestire solo le basi MIDI. Insomma, Ketron aveva in mente uno strumento più completo, che non avesse lacune. MidJay è stato presentato nel 2004 al Disma di Rimini e al Musik Messe di Francoforte: da subito, tutti nel settore avevano capito che sarebbe stato un grande successo.

Caratteristiche principali

Lascio ovviamente la descrizione tecnica del prodotto alla penna di Giorgio e al suo blog: in questa sede, mi limito a sottolineare come il MidJay fosse diventato uno strumento indispensabile per chi faceva decine/centinaia di serate di piano-bar per tutto l’anno (era l’ideale per il musicista singolo, il duo, il trio…): grazie ai 20GB di disco interno, permetteva di avere a toccata di mano un numero devastante di basi audio (e MIDI). Stava tutto in una valigetta, pesava 3,2kg: te lo portavi dappertutto e lo piazzavi facilmente su un leggio. Fra i primi utilizzatori del tempo, c’erano anche le orchestre di liscio, che ne acquistavano due per volta, come backup. Di riflesso, MidJay è entrato anche nelle discoteche e molti deejay lo hanno usato per lanciare i brani audio al semplice tocco. MidJay ha fatto capolino anche negli studi delle radio private, giacché era comodo per lanciare i jingle pubblicitari, in un tempo in cui l’accesso immediato ai file audio richiedeva strumenti dedicati.

Il modulo inizialmente non avrebbe dovuto avere una sezione arranger, ma, a progetto quasi concluso, Sandro Fontanella ha avvertito la necessità di introdurre gli stili di accompagnamento per rafforzare il prodotto ed evitare il rischio di essere percepito come troppo sperimentale. Il centro R&D di Ancona ha allora ripreso la libreria stili dei modelli SD e l’ha riprogrammata interamente, dato che il MidJay aveva una piattaforma software tutta nuova e non si poteva usare la tecnologia degli arranger precedenti. La scelta di recuperare quegli stili si è rivelata poi vincente, avendo attirato sullo strumento un ampio numero di fisarmonicisti.

Molti apprezzavano il fatto che il MidJay, mentre veniva usato come expander, arranger o semplice lettore di basi audio/MIDI, era in grado di registrare tutto quello che succedeva nello strumento o dall’ingresso audio. Si trattava di HD Recording in formato stereo pensato originariamente per registrare le proprie performance. In realtà numerosi musicisti si registravano tutta la serata in diretta per poi riascoltarsi il giorno dopo per valutare le proprie esecuzioni e migliorarsi, per avere un archivio delle proprie serate live, o addirittura per ottenere demo da distribuire a nuovi clienti a testimonianza delle proprie capacità musicali.

Il laboratorio Ketron è sempre stato celebre come fucina di idee creative. 100 idee nuove nascevano tutti i giorni. E MidJay le stimolava tutte perché per l’epoca era una novità, fuori luogo rispetto gli standard abituali. La curiosità di Giorgio lo aveva portato a verificare con attenzione come lavoravano i musicisti negli Home Studio che nascevano come funghi in quegli anni. Di qui è nata l’idea di sviluppare la funzionalità del DJ Loop utile per concatenare diversi segmenti audio e creare dal vivo performance interattive e creative: per superare i limiti di memoria, i brani audio erano elaborati in streaming da HD, non si avevano quindi limitazioni di lunghezza, tranne lo spazio del supporto fisico. Si prestava a mille usi. DJ Loop è stato l’embrione da cui sono nati gli stili realistici di Audya (Real Drum, Live Guitar) che – per la prima volta sul mercato – hanno fatto apparire tracce audio entro gli accompagnamenti di un arranger (nota: tecnologia che ha raggiunto la perfezione nel recente Ketron Event). Insomma, MidJay è stato l’incipit di un nuovo futuro per Ketron.

Le vendite stellari di MidJay hanno stuzzicato la curiosità dei grandi produttori giapponesi che hanno provato a fargli concorrenza. Ma non hanno avuto la stessa fortuna: qualcuno di voi ricorda Korg MP10 e Roland VIMA. Questi non avevano la completa multifunzionalità di MidJay e, pertanto, non sono riusciti ad impensierire il direttore commerciale di Ketron. Forse gli unici strumenti a tenere il passo in quegli anni sono stati quelli prodotti da M-Live ma, non disponendo di sezione arranger, non erano poi competitivi su tutto lo spettro funzionale.

I protagonisti di questa storia

Il team che ha sviluppato MidJay era composto di persone di talento. Al vertice c’era Sandro Fontanella coordinatore e project leader, una autentica autorità mondiale quando si parla di arranger. Di Giorgio Marinangeli vi abbiamo già detto: era stato assunto per studiare la nuova piattaforma che avrebbe sostituito quella inaugurata con la serie MS e si è trovato a costruire tutta la parte software di MidJay. Maurizio Leonardi si è occupato della componente hardware e bisogna riconoscergli il merito di aver realizzato un gioiello di ergonomia. Marcello Colò si è unito a progetto in corso per raffinare le parti musicali, mentre Stefano Baldarelli era di supporto per la gestione delle fisarmoniche.

Oggi Sandro Fontanella e Maurizio Leonardi sono ancora operativi in Ketron e la loro ultima creatura, Event, ha stupito il mondo. Di questa nuova ammiraglia vi ho già scritto in diverse occasioni e, se vi capita di provarla in un negozio di strumenti musicali, fate attenzione: potrebbe fare breccia nel vostro cuore al punto di non separarvene più.

Marcello ha raggiunto da pochi mesi l’obiettivo agognato degli italiani: la pensione! Ma è ancora in gran forma e ora può dedicarsi ai suoi progetti preferiti: con l’aiuto del quarto membro di Arranger Legacy, Riccardo Gerbi, ha scritto il libro che rappresenta la sua auto-biografia professionale, produce tutti i video dimostrativi dei prodotti raccontati in questa rubrica; continua ad essere un collaboratore di Ketron, seppure dall’esterno, e sta per lanciare progetti nuovi di cui vi racconteremo presto. Al fondo di questo articolo, trovate il link alla demo di Midjay prodotta in video dal nostro Marcello.

Giorgio Marinangeli ha lasciato Ketron nel 2015: oggi è Project Manager presso un’azienda di Electronics Automotive e consulente di una delle più grandi case produttrici di chipset dedicati al mondo embedded. Molto spesso gli viene chiesto perché non ha continuato a fare strumenti musicali da qualche altra parte. Ovviamente gli sono state presentate altre occasioni e proposte, anche da case molto importanti del settore, ma di volta in volta ha deciso di declinare le varie offerte. “Paganini non ripete!” ama dire.

Successo ed eredità di MidJay

In termini commerciali, MidJay ha venduto nei diversi continenti: container interi venivano abitualmente spediti in ogni angolo del mondo avendo un riscontro globale. Un mercato in particolare, la Corea, ha ordinato lo strumento in quantità ingenti. Ci piace pensare che MidJay abbia contribuito a creare una cultura dell’intrattenimento musicale moderno in quel paese, generando in modo seminale, quello che oggi chiamiamo K-Pop e rappresenta il fenomeno musicale di più grande fermento su scala mondiale degli ultimi 5 anni.

Come abbiamo visto, MidJay ha dimostrato una grande longevità. Ci sono numerosi musicisti nel mondo che lo adoperano ancora oggi. Chi ce l’ha, se lo tiene stretto. Raramente uno strumento musicale digitale è stato a listino così a lungo: dal 2004 fino al 2018. A dire il vero, negli ultimi anni era nata una riedizione dello stesso (MidJay Plus): non si trovavano più i componenti, in particolare serviva un display diverso perché quello originale non si trovava più da nessun fornitore. Resta il fatto che la versione originale è sempre stata la più richiesta. L’idea si è dimostrata così valida e ancora oggi viene percepita come moderna: è una macchina all-in-one utilissima anche nel 2023, le connessioni sono ancora attuali.

Qualche rammarico? Ketron è una piccola azienda artigianale: al tempo non disponeva delle risorse musicali per produrre una vasta libreria di brani audio per il DJ Loop. Se le avesse avute, il successo sarebbe stato di gran lunga superiore. E ancora: se l’azienda avesse trasferito la produzione in Asia, i listini sarebbero potuti scendere e MidJay sarebbe in cima alle vendite ancora oggi. Non so voi, ma io sono totalmente affascinato dalla storia di questa piccola azienda anconetana che un giorno ha deciso di competere con i grandi del mondo, mantenendo le radici nel nostro Paese e facendo sventolare alta la bandiera del Made in Italy.

Arranger Legacy | Farfisa 7X

Ritorna la rubrica Arranger Legacy: i fedeli lettori di questo blog sanno che si tratta del lavoro di una squadra di cui, oltre al sottoscritto, fanno parte Giorgio Marinangeli, Marcello Colò e Riccardo Gerbi. Con questi contributi corali, vogliamo celebrare gli strumenti arranger che hanno reso grande la storia di questo comparto di strumenti musicali.

Fra i tanti produttori di arranger del passato, il nome di Farfisa merita un posto di riguardo. Le radici del marchio risalgono al dopoguerra: la società nasce come fabbrica di fisarmoniche nel 1946 a Castelfidardo (AN). Negli anni successivi, la produzione diverge fra fonovaligie (giradischi insomma), televisori ed amplificatori, per poi ritornare nell’alveo degli strumenti musicali. Nei primi anni 60, Farfisa lancia Compact, la prima generazione di organi elettronici prodotti in serie. Nell’arco dei lustri a seguire, numerosi gruppi celebri dell’epoca (come Doors, Led Zeppelin, Procol Harum, Pink Floyd, Genesis, Van Der Graaf Generator, Tangerine Dream e altri ancora) utilizzano vari modelli di organo Farfisa. La differenziazione creativa continua nel tempo ed è così che l’azienda passa a costruire citofoni (sic!), chitarre e pianoforti acustici. Questi ultimi, in particolare, uscivano dallo stabilimento inizialmente con i marchi Furstein e Fustenberg. Successivamente, grazie ad un’acquisizione, compare anche il celebre nome di Anelli Cremona. Come potete immaginare, la scelta di distribuire con marchi diversi è una strategia commerciale studiata a puntino, al fine di poter vendere pianoforti a più negozi nella stessa città. 

Fate clic qui: Arranger Legacy su SM Strumenti Musicali di Riccardo Gerbi.

Nel 1984 Farfisa entra a far parte del gruppo Bontempi. Ma, anno dopo anno, i volumi di vendite si fanno critici a causa della incipiente e devastante concorrenza giapponese. Per riuscire a resistere alle emergenti sfide del mercato, Farfisa passa finalmente alla progettazione e produzione di arranger. Il 1991 è l’anno di esordio con F1: ha 76 tasti pesati, un processore creato in casa, supporta diverse forme di sintesi (additiva, FM, PC), 8 DSP e ha amplificatori a bordo. È, per l’epoca, un gioiello tecnologico. Accanto a F1, esce F3: un modello più leggero, con 61 tasti ma senza amplificazione. L’evoluzione segue nel 1994 grazie a F5, con 61 tasti e amplificatori, seguono successivamente F7 e F8. Con il 1995, l’azienda italiana rinnova la notevole serie F introducendo tre nuovi arranger portatili che vanno a celebrare in bellezza questa storia importante. G7 e G8 hanno 61 tasti, sequencer e floppy-disk: hanno un discreto livello di vendite e godono di una buona reputazione sulla stampa specializzata di quegli anni. Il terzo è 7X, versione expander di G7: raccoglie un pregevole consenso fra fisarmonicisti e, soprattutto, chitarristi. Per la cronaca, Farfisa chiude definitivamente la produzione di strumenti musicali nel 1998. Oggi, il nome Farfisa sopravvive per la sola produzione di videocitofoni, ramo d’azienda che era stato ceduto ad altra proprietà nel 1992, probabilmente per fare cassa e ottenere risorse da destinare allo studio e alla produzione di arranger.

Farfisa 7X (chiamata abitualmente Seven X) è il modello su cui ci concentriamo oggi. Dalla vasta collezione di Giorgio Marinangeli, abbiamo infatti l’opportunità di vedere da vicino questo expander: ha 128 suoni mappati secondo lo standard GM dell’epoca, un display luminoso, riverbero e chorus. Permette di salvare 16 voci personalizzate e include una sezione arranger composta da 72 stili di accompagnamento. Le ragioni di interesse sul mercato, rispetto la concorrenza dell’epoca, consiste nella presenza di due ingressi: da una parte è possibile collegare una chitarra e arricchirne il suono con overdrive e distorsore, dall’altra è possibile sfruttare il secondo ingresso microfonico per collegare un microfono e accedere agli effetti di vocoder e armonizzatore; quest’ultimo aspetto, unitamente al fatto di essere un valido lettore di basi MIDI con capacità di visualizzare i testi sullo schermo e collegamento SCART verso i monitor TV, lo rende molto interessante per cantanti e per spettacoli di karaoke. Non possiamo poi tralasciare la capacità aggiuntiva di collegare una fisarmonica. In sintesi, oltre al sequencer a 16 tracce, di fatto 7X è un prodotto versatile e può essere usato come modulo arranger, come semplice expander, come player di Standard MIDI file o come dispositivo per cantanti o serate karaoke. Tutti i dettagli tecnici sono descritti nel blog di Giorgio Marinangeli.

Al giorno d’oggi, la memoria di Farfisa è conservata da Claudio Capponi che, oltre a gestire uno spazio web con informazioni utili, organizza il Farfisa Day, l’evento celebrativo della storia di questa rinomata azienda (l’ultima edizione, l’undicesima, si è svolta lo scorso settembre 2022 nella stessa Castelfidardo). Mi sono rivolto a Claudio come fonte principale delle informazioni qui raccontate e, grazie ai suoi contatti, sono riuscito a raggiungere la testimonianza di Carlo Pierité, colui che, per conto dell’azienda marchigiana, ha inventato il Night & Day, una soluzione tecnica che permette di gestire la contattiera sotto la tastiera in modo da fermare il martellino a 2mm dalla corda e, con il silenziamento, ascoltare il suono soltanto dal generatore sonoro digitale in cuffia. Questo brevetto consente a Farfisa di produrre – ante litteram – il primo pianoforte ibrido della storia.

Tutti gli articoli di Arranger Legacy terminano con la dimostrazione eccellente del prodotto da parte di Marcello Colò. Enjoy!

Il viaggio di Marcello Colò nell’industria musicale italiana

Questo è un libro che i lettori del blog Tastiere Arranger devono assolutamente leggere.

Il protagonista è Marcello Colò: ha avuto la fortuna di vivere nella cabina di regia l’epoca industriale italiana della musica dagli anni ’70 ad oggi. La storia si è svolta tutta nelle Marche (e in un pezzo di Romagna), nel centro globale per la tecnologia e l’innovazione degli strumenti musicali che hanno avuto successo in tutto il mondo. Il curriculum di Marcello spicca per la trasversalità con cui ha attraversato quegli anni: lui ha vissuto in prima persona la progettazione e la costruzione dei migliori synth e arranger di elaborazione italiana nelle diverse aziende con cui ha collaborato.

Nel libro “Scusi, ma lei che lavoro fa?” troverete la grande storia di CRB Elettronica di Duilio Borsini, un’azienda che ha forgiato un’intera generazione di professionisti del settore. Marcello ci racconta poi la fugace esperienza dei prodotti Delco. Nelle pagine successive, si possono conoscere da vicino gli inizi di Ketron Lab con la larga distribuzione internazionale curata dalla teutonica Solton. Il cuore del racconto riguarda la fortunata e lunga parabola di successo di Generalmusic, alias GEM. Le vicissitudini degli arranger professionali continuano con il Made in Italy di Korg e la distribuzione Syncro. In conclusione, il libro si porta a compimento con la straordinaria innovazione italiana avviata dall’indipendente Ketron e l’introduzione degli streaming audio negli arranger.

È un perfetto equilibrio fra viaggio nella tecnologia musicale e racconti di umanità vera. Si avverte il contributo della penna di Riccardo Gerbi nella stesura di quest’opera. Non vi nascondo che è un’emozione particolare per me commentare il lavoro prodotto da due amici e colleghi del team Arranger Legacy insieme a Giorgio Marinangeli (per la cronaca, protagonista di un capitolo del libro).

Del resto, pur citando una teoria sterminata di strumenti musicali e un elenco ricco di nomi e cognomi di persone, il libro si fa apprezzare come un racconto avvincente ed appassionato. Quando ho cominciato a leggerlo, sono stato catturato dalla smania di lettura e l’ho divorato in breve. Si narrano storie di persone e momenti di emozione; i dati tecnici sono annegati nel racconto e non annoiano mai; ci sono numerose foto a testimonianza dell’autentica e genuina sorgente di questo libro.

Ma, al di là della mia vicinanza con gli autori di quest’opera, devo riconoscere che oggettivamente questo libro vale tutta la vostra attenzione. Noi appassionati di arranger, abbiamo qui la possibilità di scoprire – da una fonte originale – molte informazioni sconosciute ai più e legate alle tastiere con accompagnamenti prodotte negli anni da GEM, Korg e Ketron. Non mancano poi riferimenti a SIEL, Roland, Technics e Yamaha.

Da pochi giorni, il libro può essere acquistato su Amazon e pare che stia scalando le classifiche di vendita nella sua categoria. Potete ordinare la versione cartacea (10,40€) oppure quella digitale su Kindle (2,99€). È una piccola spesa, ma – se siete un appassionato di tastiere musicali o un addetto ai lavori – il valore che potete ottenere in cambio, è incommensurabile.

Arranger Legacy | Solton TS4K by Ketron Lab

Continua la saga di Arranger Legacy: ideata da Riccardo Gerbi di SM Strumenti Musicali, questa è l’avventura web che coinvolge Marcello Colò, Giorgio Marinangeli e il sottoscritto. Abbiamo un solo fine: rinnovare la memoria degli strumenti arranger e, soprattutto, dei protagonisti che hanno fatto grande la storia delle tastiere digitai. Avevamo cominciato la rassegna con GEM WS2, siamo poi passati a Korg i5M e Roland E-20 / PRO-E. Oggi tocca a Solton TS4K by Ketron Lab.

Nel 1989, la società tedesca Solton era giunta al quarto anno di intensa collaborazione con la rampante azienda italiana nota come Ketron Lab. Nell’ambito di quella sinergia internazionale, l’azienda marchigiana progettava e realizzava innovativi strumenti musicali di pregevole fabbricazione, mentre Solton si occupava della promozione e distribuzione. Le idee, la genialità, il progetto, l’hardware e il software erano il frutto del lavoro di Ketron Lab. Non era una struttura immensa con stuoli di ingegneri e musicisti e non c’erano i grandi capitali come nelle corporate giapponesi: Ketron era una piccola realtà, ma era ricca di talenti. Proprio nel 1989 veniva presentato al mercato un nuovo modello di arranger con l’etichetta Solton by Ketron Lab. Era prodotto in due versioni: modulare a rack (TS4) e con tastiera a 49 tasti dinamici (TS4K), prendendo ispirazione da strumenti già progettati precedentemente e anche visti da altre aziende (come Elka OBM 5 dell’anno precedente).

Era un’epoca storica in cui il comparto arranger in generale era in forte e spiccata evoluzione: le caratteristiche dei vari produttori non si erano ancora standardizzate (come succede invece al giorno d’oggi). Ogni nuovo modello spiccava per originalità e creatività. Prima di TS4K, il Ketron Lab aveva realizzato diversi arranger, fra questi vale la pena citare in ordine cronologico: Super PolyVox, Programmer 24 e Plusby.

Caratteristiche principali

Le specifiche tecniche di TS4K farebbero sorridere gli strumenti in distribuzione oggi, ma – per quei tempi – anche le piccole cose facevano la differenza. Ad esempio, una delle ragioni del successo fu legata alla presenza di un largo display che consentiva di leggere con chiarezza lo stile attivo e i suoni utilizzati. Era una novità per i tempi: dopo anni di semplici e piccoli schermi a segmenti led (solo numerici), finalmente i musicisti potevano beneficiare di una chiara lettura delle risorse attive dello strumento. La tecnologia sotto il cofano era ibrida: accanto ad una struttura digitale affidata al motore M114 di SGS (tutti i dettagli tecnici sull’articolo del Blog di Giorgio Marinangeli, lettura vivamente raccomandata!), compariva una tavolozza sonora di grande carattere digital/analog, ideata per ottenere i timbri necessari per un vasto repertorio. Un’altra caratteristica interessante per i clienti di TS4 e TS4K era la presenza di un lettore di Memory Card esterne che permetteva di caricare nuovi stili o di salvare le proprie programmazioni. Le card contenevano stili di accompagnamento per i mercati di Spagna, Francia e Germania.

Solton TS4K by Ketron Lab

Il focus era quello dell’intrattenimento dal vivo, ovvero il tastierista o il fisarmonicista (da solo, in duo o trio), nei contesti della sala da ballo. Del resto, negli anni ‘80 la musica dal vivo ancora dilagava e furoreggiava in quei contesti.  L’azienda di Ancona “coccolava” in particolare i musicisti del folklore offrendo suoni e stili particolarmente centrati per la musica da ballo tradizionale: con il tempo, March, Polka, Waltz e Tango sono diventati il segno di riconoscimento indiscusso di Ketron nel comparto arranger. Nemmeno i colossi nipponici – ancora oggi – sono riusciti a competere in continuità con l’azienda italiana in quel repertorio.

Protagonisti

La squadra del 1989 era capitanata da Sandro Fontanella, una figura di riferimento nel mondo dei produttori di strumenti musicali: ancora oggi Sandro è alla guida creativa di Ketron e la sua vena di genialità non si è esaurita (pare che ne vedremo ancora delle belle da Ancona). Responsabile dello sviluppo software era Maurizio Leonardi, mentre Mario Falcioni (recentemente scomparso) era responsabile della parte hardware. La direzione vendite era nelle mani di Paolo Marchegiani anche se il motore commerciale sul mercato girava in Germania sotto l’egida di Solton. Fra i programmatori degli stili, i nomi noti erano quelli di Riccardo Burattini e Marcello Colò (sempre lui, mia fonte principale per la stesura di questo articolo). Il mercato era ruggente e la vivacità dei riscontri era tale che i dimostratori Ketron erano spesso chiamati a improvvisi viaggi per le dimostrazioni del prodotto. Marcello ricorda ancora oggi quel giorno in cui Sandro Fontanella gli ha chiesto di partire in un amen alla volta di Azzano Decimo (PN), quasi 500km da Ancona, per una “demo last minute”, improvvisata, così su due piedi.

Da sempre Ketron è stata molto attenta e meticolosa nella realizzazione dei propri style. Il disegno ritmico e, soprattutto, i suoni che lo contornavano (Bass, Chord ed altro) erano studiati e centrati al millesimo. La cura dei dettagli era così esasperata che i programmatori spesso si vedevano restituire gli style da Fontanella che, prima di approvarli, li ascoltava e testava con la massima attenzione per cogliere ogni sfumatura possibile: e succedeva frequentemente che – se il nuovo stile non corrispondeva alla perfezione – tornasse indietro al programmatore per essere riscritto da capo.

Un successo discreto e duraturo

Non sono noti i volumi di vendita, ma era risaputo quanto Solton andasse forte in tutta Europa e TS4K ha avuto un’onda di vendite molto lunga nel tempo: un aspetto vincente per i clienti Ketron è sempre stata la longevità dei prodotti sul mercato. Oggi siamo abituati a vedere modelli che accusano segni di obsolescenza dopo soli 2-3 anni. Ketron invece ha sempre garantito una lunga vita commerciale e tecnologica ai propri prodotti: i clienti hanno apprezzato questa scelta, giacché permetteva di proteggere i propri investimenti. Del resto, questa buona tradizione si è ripetuta modello dopo modello: pensate al MidJay, per esempio, che ha tirato sul mercato anche dopo un decennio.

Concludiamo con l’ascolto e la visione della dimostrazione di TS4K, a cura dell’amico e collega della squadra di Arranger Legacy, Marcello Colò.